"Da profugo sono diventato scrittore, sono diventato un operatore culturale e questo è un esempio di come un profugo, se gli dai la possibilità, può diventare qualcuno e può contribuire a dare un valore aggiunto al luogo dove sta".

A parlare è il poeta cileno Antonio Arèvalo, ospite al "Terre di confine filmfestival", che ha fatto tappa a Solarussa, Alghero e Asuni, dopo la proiezione di documentario "Santiago, Italia" di Nanni Moretti.

"Un film - spiega una nota dell'organizzazione - in cui numerosi testimoni raccontano attimi drammatici, quelli della presa di potere da parte di Pinochet e la morte di Salvador Allende, la dittatura e la fuga nell’ambasciata italiana.

Tra questi testimoni c’è proprio Arèvalo che – come egli stesso ha raccontato al giornalista Roberto Cossu di fronte al pubblico del festival – nel 1973 a soli quattordici anni era divenuto la mascotte della Brigata di pittura muraria, con la quale usciva di notte per pitturare le strade. Militante della gioventù comunista, andava a lanciare volantini di protesta. Venne scoperto e si rifugiò all’ambasciata italiana per poi vedere la sua vita catapultata dall’altra parte dell’oceano".

"Vivere all’interno dell’ambasciata è stata un’esperienza fortissima", ha spiegato lo scrittore, recente autore del libro "Le Terre di nessuno".

Aggiungendo: "Arrivato in Italia però non volevo far sapere che ero profugo. Mi vergognavo di dirlo. Oggi ne vado fiero".

Poi un pensiero ai nuovi migranti: "A volte mi vedo nei panni della gente che oggi arriva nei gommoni. Io ho vissuto un’Italia accogliente, era un’epoca meravigliosa. In confronto a ciò che succede ora la mia storia è nulla. Mi sento un privilegiato. Ma ho preso il meglio che ho avuto dall’Italia e ho cercato di restituirlo, perché mi sento responsabile del luogo che mi accoglie, sia che mi trovi a Roma, Milano o Venezia".

Poi il rapporto con l'Isola: "Per me è molto bello tornare in Sardegna, è un onore, perché il mio primo produttore è stato Ignazio Delogu, un sardo eccellente che è stato anche traduttore di Pablo Neruda", ha concluso Arèvalo.

"È un doppio momento letterario e cinematografico di grande emozione, in cui un’ultima volta ancora mi si fa sentire a casa".

(Unioneonline/l.f.)
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