Si potrebbe definire “nipote d’arte” dato che il nonno, Fabio Maria Crivelli, non è stato solo uno storico giornalista che ha diretto anche L’Unione Sarda, ma è stato un apprezzato autore di testi teatrali adottati da diverse Compagnie in importanti palcoscenici d’Italia.

Roberta, 28 anni portati con grazia, su un fisico da un metro e ottanta tutt’altro che invadente, è andata sulle sue tracce quando stava preparando la tesi di laurea in Comunicazione all'università di Ferrara. Sulla scorta di alcune informazioni reperite durante la ricerca, si è spinta fino alle Marche, dove ha trovato un testo dattiloscritto del nonno con tutte le annotazioni fatte a mano dagli attori che studiavano la parte su quella sceneggiatura. “È stata una bella emozione, per me”.

Lo dice con tenerezza, come se i bei ricordi d’infanzia le stessero attraversando la mente e riflettessero sugli occhi una dolcezza disarmante. Scoprire che anche il nonno amava il teatro come lo ama lei è stata forse la certificazione, il primo ciack per decidere di intraprendere la carriera di attrice.

Roberta in uno scatto dal suo profilo FB
Roberta in uno scatto dal suo profilo FB
Roberta in uno scatto dal suo profilo FB

Dopo la laurea ha frequentato la scuola di teatro Galante Garrone a Bologna. Poi è stata ammessa a un provino alla scuola di Luca Ronconi, a Santa Cristina in Umbria. E se appena due settimane prima dell'appuntamento il maestro non fosse morto, il 21 febbraio 2015, Roberta avrebbe avuto l’onore di essere esaminata e scelta proprio da lui, uno dei maggiori maestri del teatro italiano. “Per un soffio non ho potuto conoscerlo di persona”, dice con rammarico.

Per fortuna il provino è stato confermato, gli attori della Compagnia hanno organizzato due mesi di corso intensivi e da lì, quattro anni fa, è cominciata la sua avventura.

In questo periodo è reduce dalla rappresentazione a Roma, al Teatro Argentina, di un'opera di Pierpaolo Pasolini, Ragazzi di vita. Lei ha interpretato la protagonista, "una prostituta de' Ostia", dice in perfetto romanesco, "che ho dovuto imparare". Ora sarà in scena al Piccolo di Milano, dal 17 al 29 gennaio, nella stessa parte "ma in una versione leggermente ingentilita", alludendo al ritocco di certe espressioni romane che potrebbero risultare poco comprensibili ai milanesi.

Quanto è impegnativo fare l’attrice teatrale?

"Abbastanza. Ma se hai passione, viene tutto più facile".

Come si organizza visto che viaggia tanto?

"Riesco ad essere organizzata pur spostandomi da una città all’altra. In ogni città, più che altro Milano e Roma, riesco a mantenere punti di riferimento che ritrovo quando arrivo, quindi riesco a vivere una quotidianità decente".

Quali sacrifici le pesano di più come attrice?

"Considerato che non possiamo permetterci neppure di ammalarci, i sacrifici ci sono, ma non più che in altre attività. Io sono andata in scena anche con la febbre, col mal di gola e afona, stando muta tutto il giorno per preservare la voce che mi sarebbe servita per andare in scena la sera".

Tutele?

"Pochissime. Anche se adesso, grazie a un Movimento di attori creato di recente, qualcosa sta cambiando: abbiamo diritto a 5 giorni di malattia senza vederci decurtare il compenso. Ma se non hai un sostituto per la tua parte, non puoi comunque assentarti, e allora ti presenti anche in stampelle".

Questo è il teatro in Italia?

"Più o meno sì. In altre parti d’Europa, per esempio in Germania, due compagnie lavorano in parallelo alla stessa rappresentazione. Così una sera ce n’è una, la sera dopo c’è l’altra. E anche in caso di assenze, dato che studiano la stessa parte, è facile sostituire un attore anche all’ultimo momento".

Sarà questo il lavoro della sua vita?

"Penso di sì, ho studiato e studio tuttora per questo. Non vorrei fare altro, se non qualcosa di attinente".

Lei è nata a Cagliari, vive a Milano e fa un po’ la “nomade” come tutti gli attori teatrali. Le manca la sua città?

"Mi manca tantissimo. Quando sono partita non più di tanto. Anzi direi per nulla perché ho dovuto lavorare sodo frequentando i corsi di dizione per levare l’accento: “rinnegare” l’Isola è stato come scrollarmi di dosso ciò che non andava bene per il mestiere che volevo fare”.

E adesso?

"Adesso mi manca da morire, io tornerei subito in Sardegna. Ma non credo sia possibile, almeno per ora".

Cagliari non offre le stesse opportunità che trova nella penisola?

"Non ne vedo. Ci sono realtà costituite da tempo, con persone che lavorano da 20-30 anni, e non possono probabilmente inserire nuove figure. C'è anche il problema delle risorse, mai sufficienti quelle dedicate al teatro".

Come fosse un pezzo di cultura di serie B.

"Più o meno. Se alla lirica si dedica il 70 per cento delle risorse, il restante 30 viene suddiviso per tutte le altre decine e decine di attività tra cui anche il teatro. Può ben capire come ciò che resta siano briciole".

anna piccioni

piccioni@unionesarda.it

Roberta Crivelli (dal profilo facebook)
Roberta Crivelli (dal profilo facebook)
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