Foggia, il tempo è quello che stiamo vivendo e le vicende sono quelle in cui potremmo incappare in un giorno qualsiasi di questa cittadina pugliese spesso dimenticata dalle cronache.

La criminalità organizzata del luogo si è fatta sempre più spietata e ardita. Si chiama Società foggiana e ha deciso di fare il salto di qualità. Il vecchio boss è ancora in carica ma è latitante da anni e pensa ancora "all'antica". Si fa sempre più strada la strategia della moglie, la "Lupa", una donna che non ha alcun orrore del sangue che si deve versare per conquistare sempre più potere. Una donna che può contare su due alleati, entrambi implacabili, anche se molto diversi tra loro: i suoi due figli, Cosimo e Diego. Il primo ha studiato economia ed è pronto a lanciare la Società Foggiana nella finanza del terzo millennio. Il secondo è Zio Teddy, un serial killer che gode a torturare i bambini. Sulla loro strada, però, c'è un poliziotto che con Zio Teddy ha un conto aperto da anni. Si chiama Renzo Bruni e toccherà a lui e alla sua squadra impedire che Foggia diventi definitivamente terra criminale.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Romanzo cupo, teso, asciutto nei dialoghi e nella narrazione, "La Lupa" (SEM, 2018, pp. 479, anche e-book) rappresenta un momento di originalità nel panorama fin troppo affollato del poliziesco all'italiana. Rifugge, infatti, dai cliché del genere fatti di regionalismi alla Montalbano, dominati da funzionari di polizia spesso polverosi, stanchi, frustrati e che paiono occupare il loro posto quasi controvoglia. Presenta, invece, un protagonista molto credibile, che si muove con efficienza all'interno di un apparato di polizia che è quello che un po' tutti conosciamo, fatto di tante virtù e non esente da vizi. E ci racconta in maniera quasi cronachistica la vita quotidiana di poliziotti che stanno perennemente in prima linea contro il crimine, una quotidianità fatta di riunioni, discussioni, telefonate continue di questori e ministri, interrogazioni parlamentari che sanno di perdite di tempo se non di prese in giro.

Tutti questi elementi contribuiscono alla resa finale di un libro convincente, solido, ben orchestrato da Piernicola Silvis che ha messo a disposizione dei suoi personaggi e dei lettori la sua lunga esperienza di funzionario di polizia con incarichi di rilievo anche in Sardegna, dove è stato questore a Oristano.

Una esperienza che è anche alla base della scelta di accendere i riflettori su una città spesso dimenticata come Foggia, una città che nel libro appare inquietante, attraversata dalla violenza e dalla paura. Realtà o pathos narrativo? Lo chiediamo proprio a Piernicola Silvis, che nella città pugliese è nato e ha trascorso più di quattro anni come questore:

"Foggia è una città dove l'aggressività spesso si coglie nell'aria. È una città dove esiste una borghesia colta, dove vi è fermento culturale ma manca la classe media. E dove la criminalità organizzata sta diventando sempre più forte e pericolosa".

Come mai questa evoluzione criminale, una evoluzione di cui tra l'altro si parla poco o nulla?

"La criminalità organizzata è sorta alla fine degli anni Settanta del Novecento. Raffaele Cutolo, storico boss della camorra napoletana, aveva cercato di espandersi nel foggiano. Voleva che la criminalità foggiana entrasse nella camorra ma fu respinto così come sono state rigettate le infiltrazioni della Sacra Corona Unita del Salento. Nella città di Foggia si è viceversa organizzata una criminalità indigena, la Società Foggiana, che conta su due o tre clan in lotta tra loro e che non esitano a ricorrere alle armi e alle esecuzioni. Questa criminalità è tanto invasiva che l'80% dei commercianti di Foggia è taglieggiato. Inoltre, non è l'unica realtà criminale della zona".

Quali sono le altre minacce?

"C'è la criminalità organizzata del Gargano, quella di Cerignola che è specializzata negli assalti ai furgoni blindati un po' in tutta Italia. E poi c'è la delinquenza comune. Insomma, veramente poco da star tranquilli".

Eppure, di Foggia si parla veramente poco. Come mai?

"Forse perché la criminalità organizzata del foggiano non è ancora stata narrata in modo da farla conoscere al grande pubblico. Gomorra di Saviano ha raccontato la camorra, ancora prima Mario Puzo con Il Padrino ha narrato la mafia e questo ha aperto gli occhi su queste realtà criminali. Il mio romanzo vuole accendere almeno un poco i riflettori su fenomeni poco conosciuti ma che stanno superando il livello di guardia. Nel romanzo parlo di una Società Foggiana che prova ad allearsi con le altre realtà criminali della zona, del tentativo di far entrare la criminalità nella finanza, di farle compiere il cosiddetto salto di qualità. Le posso assicurare che la finzione letteraria in questo caso non è molto lontana dalla realtà".

Un'altra particolarità del romanzo è che il poliziotto protagonista è un uomo del nord, di Bergamo. Una scelta sui generis in una editoria dominata da commissari e vicequestori siciliani, romani. Come mai?

"Ho scelto così proprio perché di poliziotti del centro-sud, magari inseriti in una precisa realtà locale siamo circondati. Per prima cosa ho voluto che Bruni fosse un funzionario dello SCO, il Servizio Centrale Operativo, che è una struttura che ha sede a Roma ma opera in tutta Italia. Ho voluto che il mio protagonista fosse libero di muoversi, ho svoluto sprovincializzarlo. E già che c'ero ho deciso che venisse da una città narrativamente poco battuta come Bergamo. Insomma, non mi interessava creare un personaggio fortemente caratterizzato dalle sue origini e legato a un determinato territorio. Mi interessava dare vita a un poliziotto reale, credibile, capace. Simile a tanti funzionari di polizia che ho incontrato nella mia carriera: potevano essere di Bergamo, siciliani o romani ma ragionavano tutti allo stesso modo. Erano prima di tutto poliziotti, come il mio Renzo Bruni".
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