Convivere con una forma di demenza o con qualsiasi tipo di malattia degenerativa delle facoltà mentali rappresenta spesso un dramma per il malato e per chi gli sta accanto, una condanna senza appello. La malattia, infatti, viene avvertita come uno sprofondare più o meno rapido negli abissi dell'isolamento, dell'incapacità di comunicare, di ricordare. Per questo l'Alzheimer e tutte le patologie mentali che portano alla demenza ci fanno tanta paura.

Megan Carnarius, terapeuta americana che da più di venticinque anni lavora con persone a cui è stata diagnosticata una qualsiasi forma di demenza, prova invece a raccontarci queste patologie da un punto di vista diverso, basato sul principio che con una malattia anche molto invalidante si possa provare non solo a convivere, ma si possa continuare a vivere.

Nel suo "Alzheimer e altre malattie del cervello" (Macro Edizioni, 2018, pp. 280) affronta – come è giusto fare rispetto a temi così delicati – le varie patologie mentali da un punto di vista medico-scientifico.

L'autrice, quindi, prova a fare chiarezza sui vari tipi di demenza mentale e senile, sulle più moderne terapie, sugli studi e sulle ricerche più recenti, quelle che danno speranza per il futuro nella lotta contro queste patologie. Megan Carnarius, però, non si ferma al vademecum, al semplice compendio delle varie casistiche. Non è questo, o non è solo questo, il suo obiettivo. L'autrice, partendo dalla sua esperienza sul campo, vuole narrarci un nuovo modello di approccio alla malattia, soprattutto per chi assiste i pazienti. Un modello che vede nella malattia, per quanto grave e invalidante sia, una opportunità per trovare soluzioni, farci venire idee, scoprire risorse che non pensavamo di avere. Al centro di tutto un obiettivo primario: garantire dignità di vita al malato e non arrendersi di fronte al progredire della malattia.

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Sia chiaro: il libro non vuole assolutamente essere un elogio della malattia come prova, come rito di passaggio, come tonificante per l'uomo. Megan Carnarius crede viceversa nella possibilità di alleviare il dolore, di attenuare la frustrazione, di alimentare la vita anche quando sembra impossibile, anche semplicemente puntando sull'umorismo, sulla capacità di sdrammatizzare.

Insomma, venticinque anni a contatto con la sofferenza hanno insegnato a Megan Carnarius il coraggio di non cedere allo smarrimento e la consapevolezza che nella sofferenza bisogna avere la tenacia di "stare", di viverla. Non sempre si può, infatti, sfuggirla, soprattutto quando fuggire significa abbandonare una persona cara oppure un paziente che ci è stato affidato in qualità di medico, operatore o infermiere.

Ogni malato, per la Carnarius, ha diritto a essere aiutato, sostenuto, protetto.

Fino in fondo, come ci conferma con parole che toccano il cuore: "Durante le fasi finali della malattia, queste persone non saranno più partecipi dell'esperienza terrena e si troveranno in un profondo stato interiore che, di solito, noi che le assistiamo non siamo in grado di raggiungere e condividere. La demenza avrà innalzato un muro intorno a esse, come fossero entrate in un convento di clausura. Invece di pensare a questo muro come a una prigione, io lo considero l'omaggio finale alla vita che la persona ha vissuto, e al suo corpo, il contenitore che l'ha ospitata. Ora che alla persona viene concesso il tempo necessario per raccogliersi in se stessa, la sua anima potrà occuparsi degli aspetti spirituali del 'sé'".

E sentirsi finalmente libera, aggiungiamo noi.
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