Le note musicali inventate da un monaco, Guido d'Arezzo, circa un millennio fa. E poi il canto gregoriano, la musica rinascimentale, Monteverdi, i grandi musicisti del Barocco, primo fra tutti Vivaldi, per arrivare ai maestri del melodramma ottocentesco come Verdi e Puccini.

Bastano queste poche righe per capire il ruolo fondamentale ricoperto dalla musica classica nella cultura italiana e, allo stesso tempo, per comprendere quanto immensa sia la tradizione musicale del nostro Paese. Eppure, la storia della musica viene quasi del tutto ignorata nelle nostre scuole e quanto all'educazione musicale nella maggior parte dei casi tutto si riduce a qualche solfeggio con il flauto di plastica tra i banchi.

Veramente poco, se ci pensiamo, perché la capacità di ascoltare e capire la musica – e parliamo di musica con una sua complessità, non delle canzonette sanremesi – non è cosa innata per la maggior parte di noi. Necessita di educazione, di pratica e di tempo.

Senza questo lavoro a monte, qualcosa rimane inaccessibile. Non comprendiamo fino in fondo il linguaggio universale della musica, quella sua capacità veramente unica di parlare allo spirito di tutti gli uomini.

Una qualità che attraversa tutta la vicenda umana, come ci racconta il compositore e musicologo americano Jan Swafford nella sua breve storia della musica classica intitolata "Il linguaggio dello spirito" (Mondadori, 2018, pp. 312, anche e-book).

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Dalla musica medievale alla dodecafonia di Schönberg, dalle opere di Mozart al minimalismo di Philip Glass, dai madrigali di Monteverdi alle sinfonie di Haydn e ai Lieder di Schubert, Swafford si sofferma sulle innovazioni – la notazione, la polifonia, il temperamento equabile, l'atonalità – spiegandone il significato e l'importanza dal punto di vista tecnico oltre che artistico. Ci racconta, come è giusto che avvenga in un saggio storico, compositori e brani. Soprattutto ci conduce attraverso la vicenda della musica occidentale, una delle più grandi creazioni culturali della nostra civiltà per la sua costante capacità di evolvere dal punto di vista tecnico e di assimilare idee, voci e stili diversi e di reinventarsi ogni volta. Tutto questo con uno stile ironico perché, come dice Swafford stesso all'inizio del libro, "parlare di musica è come ballare di architettura".

Uno stile che spiazza, appunto, perché non ha paura di dissacrare in certi momenti compositori e componimenti in nome di un'aperta partigianeria che porta l'autore a non nascondere antipatie e simpatie.

Antipatie e simpatie che ritroviamo nei suggerimenti per l'ascolto. Registrazioni imprescindibili e altre assolutamente da evitare, esecuzioni memorabili accanto ad alcune da cancellare completamente. Oppure, semplicemente brani poco noti eppure straordinari.

Parole da leggere, quelle di questo libro, e brani da ascoltare per arrivare a capire che la musica è una speciale forma di comunicazione, quindi, il cui impatto emotivo e intellettuale non finisce di sorprenderci.

Come conclude Swafford "la musica esiste per goderne, amarla, esserne affascinati, commossi, istruiti, divertiti, spaventati ed esaltati". È il linguaggio attraverso il quale esprimiamo i nostri sentimenti più profondi. È lo specchio che riflette le infinite sfumature della vita e del sogno, del sacro e del mistero.

Che sia prodotta soffiando in un flauto prodotto da un osso, composta nella quiete di una corte del Rinascimento, scritta nel pieno della guerra e circondati dalla follia umana, la musica rimane linguaggio dell'animo umano. Ne esprime i momenti sublimi, le bassezze, la capacità di elevarsi al cielo e di strisciare toccando il fondo.

Silenzio in sala, quindi… e prepariamoci alla lettura e poi all'ascolto.
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