Quest'anno, un po' in sordina a dire il vero, si sono celebrati i 150 anni dalla nascita di Luigi Pirandello (1867-1936), il massimo drammaturgo italiano del Novecento nonché premio Nobel per la Letteratura nel 1934.

Certo, lo scrittore siciliano non è passato di moda dato che i suoi capolavori per il palcoscenico, da "Enrico IV" a "Sei personaggi in cerca d'autore" per arrivare a "I giganti della montagna", tengono ancora cartellone a ogni stagione teatrale.

Pirandello, però, oltre che drammaturgo è stato anche prolifico scrittore, autore di novelle celebri e di grandi romanzi. Vale la pena allora di riappropriarsi di questo suo lato più letterario e narrativo. Magari, come prima cosa, ricorrendo alla rete dove è presente in versione integrale l'opera omnia dell'autore oltre a saggi, articoli, recensioni critiche. Se poi si vuole approcciare Pirandello partendo da una sorta di ABC adatta anche a un pubblico giovanile, si può puntare su "Così è Pirandello (se vi pare)" di Daniele Aristarco (Einaudi ragazzi, 2017) in cui ritroviamo, con linguaggio semplice e alla portata veramente di tutti, i tanti personaggi nati dalla fantasia dello scrittore. Personaggi teneri, stralunati, cocciuti e fracassoni, sognatori, pazzi e innamorati, creati dall'autore che più di ogni altro nel Novecento ci ha insegnato a indagare i mille volti dell'animo umano, ad ascoltare gli altri e noi stessi e a comprendere ridendo.

Pirandello, infatti, è stato questo: un grande indagatore dell'uomo, del suo inconscio, del suo io più profondo, delle sue paure e dei suoi limiti. Un grande scrittore moderno, così attuale oggi perché spesso in anticipo sui tempi quando scriveva un secolo fa o giù di lì. Nelle sue opere letterarie, infatti, compaiono temi fino a quel momento solo sfiorati dalla letteratura italiana come la solitudine dell'uomo, l'incoerenza e instabilità dei rapporti sociali e, di contro, gli inganni della coscienza e la necessità di una maschera, la disgregazione del mondo oggettivo. "Ciò che noi conosciamo di noi stessi – scriveva Pirandello nel 1908, ma sembrano parole di oggi – non è che una parte, forse una piccolissima parte, di quello che noi siamo".

Al di là di tante spiegazioni e delle citazioni, Pirandello va letto magari puntando sul romanzo che alla prova del trascorrere del tempo appare il suo capolavoro più compiuto: "Uno, nessuno e centomila" (1925-26).

In quello che è l'ultimo romanzo dello scrittore siciliano incontriamo il personaggio maggiormente definito e compiuto della sua produzione narrativa: Vitangelo Moscarda. Vitangelo si convince che l'uomo non è "uno", ma "centomila", possiede cioè tante diverse personalità quante gli altri gliene attribuiscono. "Una realtà non ci fu data e non c’è" scrive Pirandello "ma dobbiamo farcela noi se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile. La realtà d'oggi è destinata a scoprircisi illusione domani".

Chi scopre questa realtà svelata agli occhi di Vitangelo diventa in realtà "nessuno", almeno per se stesso, in quanto gli rimane la possibilità di osservare come lui appare agli altri, cioè le sue centomila differenti personalità. Basandosi su questo ragionamento il protagonista sceglie di sconvolgere la sua vita, una scelta che lo condurrà alla follia in un ospizio, un luogo dove però si sentirà finalmente libero da ogni regola e costrizione, in quanto le sue sensazioni lo porteranno a vedere il mondo da un'altra prospettiva. Una prospettiva dove l'io non ha più senso, dove le regole sociali non hanno più senso e neppure portare un nome ha più ragione di essere. L'unico modo per vivere in ogni istante è vivere attimo per attimo la vita, rinascendo continuamente in modo diverso: "Non è altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude" scrive Pirandello nelle ultime pagine del romanzo.

E c'è tutta la vitalità e la forza dell'autore in queste poche, ma definitive parole.
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