A volte riaffiorano, liberando i legni dal sedimento che li ha imprigionati per secoli. In quei casi le navi restituiscono il carico di anfore e manufatti che trasportavano nelle stive.

È il tesoro sommerso, l'immenso "libro di storia" che consente di tracciare le rotte delle antiche imbarcazioni colate a picco nel mare dell'Isola. È lì, e lì resta. Lasciato al suo destino.

I FONDI - Soldi ce ne sono pochi, per valorizzare questi relitti, tanto meno per recuperarli. Anfore e manufatti sono una ricchezza a portata di mano che potrebbe giocare un ruolo importante non solo nel campo della cultura ma anche del turismo.

La Soprintendenza non dispone di risorse, Comune e Regione non prestano particolare attenzione mentre in molte altre parti d'Italia, e soprattutto d'Europa e del mondo, l'archeosub ha una corsia preferenziale.

I SITI - Relitti, anfore, cannoni, monete sono riemersi un po' alla volta. Come i siti individuati dentro il porto, celati nel fango per duemila e rotti anni, e poi riaffiorati durante campagne di indagine obbligatorie prima di interventi di costruzione o manutenzione di strutture portuali.

"Quasi per ironia della sorte - scrivono gli archeologi Laura Soro (Università) e Ignazio Sanna (Soprintendenza) - sono proprio le nuove opere e la manutenzione dei fondali che stanno creando l'opportunità di condurre nuove ricerche subacquee".

Ebbene, dal 2005 a oggi le scoperte si sono succedute velocemente nei circa 200 mila metri quadrati di area portuale indagata. Cifre che rappresentano appena il venti per cento della superficie complessiva dello scalo cagliaritano.

Quindici lunghi anni di ricerca hanno attraversato un periodo di tempo racchiuso tra il VII secolo avanti Cristo e il Settecento. Si va attestazioni della frequentazione del Golfo delle "nere navi" di età fenicia (così le chiamava Omero) nelle acque davanti a Sant'Elia o nelle vicinanze del molo di Levante, fino ai rinvenimenti punici, romani, di età tardoantica e medievale.

LE SCELTE - Insomma, il tesoro resta in fondo al mare.

"Bisogna fare delle scelte, in primo luogo c'è la necessità di intervenire per mettere in sicurezza le emergenze. I fondi a disposizione sono limitati e in Sardegna il patrimonio è consistente", spiega Gianfranca Salis, coordinatrice dell'area archeologica della Soprintendenza. Verità amara che colloca la ricerca subacquea nei gradini bassi della programmazione.

L'ATTENZIONE - "La Regione, in questa fase - spiega l'assessora al Turismo, Barbara Argiolas - sta investendo molto su Monte Prama che si apre ad un flusso turistico importante. L'archeologia subacquea è un segmento di nicchia anche molto costoso. Questo non vuol dire che non si debba prestarle attenzione. Lo dimostra l'impegno dell'Università di Sassari ma anche la scuola di Oristano".

Per l'assessora comunale Marzia Cilloccu "la valorizzazione del patrimonio sommerso è una prerogativa essenziale per rimanere nella rete dell'agenda Unesco, uno dei punti indicati nell'accordo tra i Comuni del sud Sardegna, gli stessi che hanno sposato le direttive delle Nazioni unite".

Un progetto che potrebbe, questo sì, aiutare la ricerca nel mare del Golfo.

Andrea Piras

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