Il professor Valerio Onida, già presidente della Corte costituzionale, nonché cittadino onorario dal 2012 del comune di Villanova Monteleone, luogo di nascita del padre Pietro, tra i più illustri economisti del '900, dà un parere tecnico sul tema del referendum per l'insularità.

C’è una corsa ai referendum, Veneto, Lombardia e ora la Sardegna...

"Distinguiamo subito: non c'è nessun nesso tra la proposta sarda e quelle veneta e lombarda; questi ultimi due quesiti si rifanno proprio alla Costituzione attuale (Articolo 116, terzo comma, ndr). Quello veneto, poi, è un quesito molto semplice che chiede ai cittadini se vogliono vedersi attribuite ulteriori forme d'autonomia, come, appunto, previsto dalla Carta costituzionale".

E quello lombardo?

"Anche nel caso lombardo c'è un richiamo testuale alle possibilità date dalla Carta in termini di maggior autonomia. Ma c'è da dire che questi referendum non sono necessari perché le rispettive Regioni possano prendere l'iniziativa e cercare di raggiungere l'intesa con lo Stato. Il referendum consultivo può avere solo un significato politico di appoggio all'iniziativa".

La Sardegna parte da presupposti diversi?

"Il caso sardo è un'altra cosa, si chiede che sia modificata la Costituzione per inserire il riconoscimento dell'insularità come obiettiva situazione locale di svantaggio, anche rifacendosi a un indirizzo espresso dal Parlamento europeo".

Il tema è la continuità territoriale?

"È indubbio che lo Stato debba garantirla e per l'Isola ci sono situazioni carenti, come quella dei collegamenti aerei, non sempre sufficientemente garantiti. Situazioni obiettive di svantaggio che richiedono l'attuazione di tutte le misure necessarie per dare alla Sardegna le stesse condizioni del resto d'Italia, nel quadro dell'unità nazionale. Ma non vi è la necessità di modifiche costituzionali. E chiedere di modificare la Costituzione fa correre il rischio che la Corte costituzionale giudichi illegittima la proposta di referendum. Questo invece è certamente possibile per chiedere allo Stato misure legislative, amministrative e finanziarie volte a compensare gli svantaggi dell'insularità".

Passando per una proposta di legge ordinaria però il rischio è che il riconoscimento dell'insularità non sia altrettanto "definitivo"

"In gioco non c'è una questione di maggior autonomia, la Sardegna già ce l'ha e non si tratta di un'autonomia ristretta o inesistente. Piuttosto bisogna ribadire il tema della continuità territoriale e il fatto che lo Stato si faccia carico di erogare i fondi e le sovvenzioni necessarie per garantirla, ad esempio per aeroporti e linee aeree".

Cosa si dovrebbe chiedere al Governo?

"Lombardia e Veneto, come altre Regioni ordinarie, vorrebbero chiedere un ampliamento della loro autonomia, per svolgere funzioni che oggi sono svolte dallo Stato. Il tema del riconoscimento degli svantaggi dell'insularità richiede anche e soprattutto interventi dello Stato".

Quale è la situazione delle autonomie regionali?

"L'azione dello Stato da tempo è piuttosto ispirata a criteri di massima centralizzazione e riduzione delle autonomie, nonostante nel 2001 sia stata approvata una riforma costituzionale che ampliava gli spazi dell'autonomia delle Regioni, ordinarie e speciali. Il progetto di riforma del 2016, che fortunatamente non è stato approvato dal referendum, andava in direzione nettamente opposta, e cioè verso una forte centralizzazione, pur facendo formalmente salve le Regioni a statuto speciale. Ma alla lunga, se quell'orientamento fosse passato, avrebbe coinvolto anche le autonomie speciali".

Hanno ancora ragione d'esistere?

"Sì, anche se molte situazioni sono cambiate dal 1948 ad oggi. Le specificità che indussero allora a istituire le Regioni speciali erano proprio l'insularità, nel caso della Sicilia e della Sardegna, e la presenza di minoranze linguistiche nel caso delle Regioni alpine. Ragioni storiche che valgono ancora, anche se oggi alcune di queste aree sono più ricche e non hanno la stessa necessità di interventi a loro favore. Per le isole non è certo venuta meno la condizione fondamentale, appunto l'insularità. Poi però l'autonomia va usata bene".

E i sardi non l'hanno fatto?

"Non si tratta di attribuire colpe. Ma lo sviluppo dell'economia sarda è stato affidato un tempo alla grande industria, come quella petrolchimica, che oggi non è trainante. Forse, ma lo dico da profano, sarebbe necessario puntare su altri elementi, come le risorse naturalistiche e culturali della Sardegna, o come un'imprenditoria diffusa che potrebbe avvantaggiarsi dell'informatica, che annulla le distanze".

È mancata una visione prospettica?

"Le risorse della Sardegna sono immense, dal punto di vista naturalistico e culturale, e anche per i livelli di istruzione; e le potenzialità di un turismo rispettoso dell'ambiente forse non sono state sviluppate quanto dovrebbero. Penso ci sia molto da fare, da parte dello Stato, della Regione e degli stessi sardi".

Dove porterà il referendum sardo?

"Non so quale presa avrà sull'Isola questo referendum, che resta comunque consultivo. Pur se si volesse dissentire in parte dalla sentenza del 2000 della Corte costituzionale (la sentenza n. 496 che ha stabilito come inammissibile un referendum consultivo regionale che incideva su una iniziativa di legge costituzionale, ndr) credo che potrebbe essere un autogol richiedere l'inserimento del principio di riconoscimento dell'insularità nella Costituzione, quando si tratta di riconoscere un dato di fatto e di tradurlo in provvedimenti concreti".

Come vede la Sardegna?

"La mia è l'opinione di un cittadino qualunque, al di là delle mie origini sarde, che si chiede ad esempio se scarseggi una certa mentalità imprenditoriale, o se per molte famiglie debba ancora esservi come massima aspirazione quella di vedere i propri figli accedere a impieghi pubblici o diventare carabinieri o agenti di polizia".

Barbara Miccolupi
© Riproduzione riservata