Com'era la scuola sarda negli anni '50? E come è cambiata negli anni la figura dell'insegnante? Lo abbiamo chiesto a una testimone d'eccezione, la maestra elementare Sebastiana Aru Atzori, in cattedra per 33 anni, dal 1948 al 1981, e con il suo racconto ci ha riportato indietro nel tempo, tra i banchi di scuola sardi delle classi popolari per adulti, delle scuole elementari dei paesi più remoti dell'entroterra, e poi nelle multiclassi senza divisione anagrafica degli alunni e nei quartieri "difficili" delle periferie urbane.

Un tuffo nel passato, quando la scuola non era una realtà scontata, ma anzi un privilegio per cui valeva la pena camminare chilometri, magari a piedi nudi, o patire il freddo nelle aule senza riscaldamento; quando la maestra rappresentava un punto di riferimento fondamentale per bambini dalle situazioni familiari più che difficili, per la miseria anzitutto, ma anche per la violenza tra le mura domestiche, con tristi rimandi all'attualità.

Ci racconta il suo esordio da insegnante?

"Ho iniziato nel ’48 con la scuola popolare per gli adulti, dopo essermi diplomata nel ’46. Gli alunni erano tutti lavoratori che cercavano di raggiungere la licenza elementare per poter avere promozioni nell’ambito professionale, e c’era anche qualche ragazzo, che per vari motivi non aveva potuto studiare, e proprio loro mi mettevano spesso in imbarazzo".

Eravate coetanei e facevano i "brillanti"?

"Sì, ma io li mettevo subito in riga, e comunque tenevano tantissimo allo studio, finivano i compiti assegnati e venivano subito alla cattedra per avere il voto. Per loro la licenza elementare era fondamentale per poter aspirare a una vita migliore ed erano molto grati verso noi insegnanti, ci incontravano per strada e ci facevano grandi saluti".

Centro di colonizzazione di Alghero: corsi di scuola popolare per adulti nell'azienda di Corea
Centro di colonizzazione di Alghero: corsi di scuola popolare per adulti nell'azienda di Corea
Centro di colonizzazione di Alghero: corsi di scuola popolare per adulti nell'azienda di Corea

Poi è passata alle scuole elementari?

"Il mio primo anno scolastico è stato a Soddì - oggi provincia di Oristano, ma fino al 1979 frazione di Ghilarza - e da dove vivevo per raggiungere il paese dovevo alzarmi alle 5 del mattino, prendere la corriera da Abbasanta a Ghilarza e poi proseguire a piedi o in bicicletta su una strada di campagna affollata di buoi. Era un viaggio lungo e faticoso e non potevo certo farlo tutti i giorni, così partivo il lunedì mattina e il sabato rientravo dalla mia famiglia".

E a Soddì dove alloggiava?

"Vivevo nella casa di un pastore, che però faceva anche il dentista e di notte capitava che si presentassero delle persone per farsi "operare" da lui".

Com’era visto il fatto che una donna giovane vivesse lontana da casa, in modo così "indipendente"?

"La prima a preoccuparsi era mia madre, dopo aver visto dove stavo voleva riportarmi a casa e mi diceva "figlia mia non è possibile che tu resti qui". Ma io restai, perché dopo la guerra la nostra casa era malmessa, e c’era bisogno che lavorassi, mi ero anche iscritta all’università ma per necessità ho dovuto abbandonare...".

Com’erano le scuole di paese negli anni ’50?

"Sono stata in vere e proprie scuole di frontiera, dove non c’erano nemmeno le bidelle e io dovevo fare tutto, mancavano i bagni e il riscaldamento, così i bimbi portavano dei barattolini con la brace per riscaldarsi".

Anche per i bambini andare a scuola non era semplice come oggi?

"Era difficoltoso, ad esempio ho avuto una pluriclasse a Campanasila, dodici bambini dai 6 agli 11 anni in una scuola accanto al casello ferroviario locale, creata per permettere agli studenti delle zone circostanti di arrivarci con la littorina. Si stava insieme dalle 7 alle 13, ben oltre l’orario per cui ero pagata, e tra le tante difficoltà pratiche c’era anche quella di tenere insieme e insegnare a bambini di età diverse".

Centro di colonizzazione di Castiadas, lezione in un'aula di Olia Speciosa
Centro di colonizzazione di Castiadas, lezione in un'aula di Olia Speciosa
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Allora la professione di insegnante era in prevalenza femminile?

"Ho avuto anche colleghi maschi, soprattutto quando ho insegnato in città, a Cagliari, ma nei paesini più remoti le maestre erano quasi tutte donne. E in generale si lavorava da soli".

E con i genitori che rapporti c’erano?

"In generale buoni, avevano grande rispetto per la figura dell’insegnante, e soprattutto con le madri si andava oltre l’argomento scolastico, si confidavano e raccontavano di situazioni familiari difficili, dove non erano rari episodi di violenza da parte dei mariti, anche contro i figli".

Lei se ne accorgeva?

"C’erano bambini che venivano picchiati, alcuni persino violentati in famiglia, e da insegnante mi accorgevo dei loro comportamenti "diversi", dell’aggressività nei confronti dei compagni, della disattenzione in classe, allora chiedevo alle madri e informavo il direttore. Questa parte del mio lavoro era davvero pesante, soprattutto perché ero madre anche io".

Situazioni familiari difficili?

"Va tenuto conto che per la maggior parte madri e padri erano analfabeti, e capitava che i bambini non avessero gran rispetto per loro, in particolare per le madri. Ricordo casi di alunni che tiravano pietre alle mamme, perché in casa non avevano ricevuto nessun tipo di educazione, e il risultato erano rapporti senza stima o rispetto".

Era una caratteristica delle aree rurali?

"In generale sì, ma anche in città non mancavano esempi di disagio. Ad esempio, quando insegnavo nella scuola di piazza Garibaldi a Cagliari ho avuto come alunno il figlio di un vice ministro, un bambino molto trascurato, che trovava nella scuola un punto di riferimento alternativo alla famiglia e quando era malato chiamava la maestra e non i genitori. A distanza di anni il padre si è scusato per averlo trascurato".

Centro di colonizzazione di Alghero: corsi di scuola popolare per adulti nell'azienda di Corea
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Un allievo della scuola popolare di Alghero per adulti
Un allievo della scuola popolare di Alghero per adulti
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Le scuole popolari permettevano di conseguire la licenza elementare, fondamentale per poter ambire a ruoli professionali migliori e più pagati
Le scuole popolari permettevano di conseguire la licenza elementare, fondamentale per poter ambire a ruoli professionali migliori e più pagati
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Le figlie di assegnatari dell'azienda di Mitza Justa davanti a una scuola elementare a Carbonia
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Alunni del centro di colonizzazione di Alghero impegnati in uno spettacolo imitano Mike Bongiorno
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Lezioni di scrittura nella scuola popolare nell'azienda di Corea
Lezioni di scrittura nella scuola popolare nell'azienda di Corea
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Asilo e cortile della scuola elementare nella borgata di Tottubella, Sassari
Asilo e cortile della scuola elementare nella borgata di Tottubella, Sassari
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Piccoli alunni in classe a Rumanedda, Sassari
Piccoli alunni in classe a Rumanedda, Sassari
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Centro di colonizzazione di Castiadas: lezione in un'aula di Olia Speciosa
Centro di colonizzazione di Castiadas: lezione in un'aula di Olia Speciosa
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Le capitavano alunni particolarmente dotati?

"Sì, ce n’erano e cercavo di fare del mio meglio per aiutarli a proseguire. Ricordo un bimbo molto capace che aveva la mamma gravemente malata, spesso rimaneva a casa a badare ai fratelli, aveva una situazione di miseria ed era pieno di pidocchi, anche da questo punto di vista cercavo di aiutarlo, insegnandogli regole d'igiene, che in famiglia non venivano trasmesse".

Che fine ha fatto quel bimbo?

"So che ha continuato e proseguito, si è laureato ed è diventato insegnante di musica, e grazie alle nuove tecnologie ci siamo ritrovati e mi tiene aggiornata sulla sua vita".

Ricorda delle scuole particolarmente "difficili"?

"Sì nelle periferie più povere, come il rione Is Mirrionis di Cagliari, dove c’erano situazioni complesse, bambini abbandonati a se stessi, sempre per strada. Ricordo l’esempio di un alunno con il padre in carcere e la mamma costretta a lavorare che in prossimità della pausa per le vacanze natalizie, pur di non rimanere solo, si era alzato in piedi in classe e mi aveva detto: "No, io vengo a scuola e ci vieni anche tu"".

Le è capitato di dover forzare i genitori a mandare i figli a lezione?

"Sì, mi capitava soprattutto con le bambine, prese da lavori domestici o dalla cura dei fratelli minori. Ma anche qualche maschietto, uno ad esempio, che prima di venire a scuola passava l’aspirapolvere perché la mamma lavorava...".

Quando ha smesso di insegnare?

"Nel 1980, dopo 33 anni di servizio, per la maggior parte del tempo come maestra unica, all'inizio anche in classi da 40 alunni, poi in tempi più recenti sono stati inseriti più insegnanti per materie".

Nel tempo la professione è cambiata?

"Sì, soprattutto nel rapporto coi genitori, prima da parte loro c’era molto rispetto e fiducia, ci permettevano anche il ricorso al classico scapaccione, mentre oggi c’è la tendenza a dar sempre ragione ai figli e questo fa perdere autorevolezza agli insegnanti, e devono faticare molto di più per guadagnarsi il rispetto degli studenti. Ricordo mia madre che mi diceva "rispettate la scuola come la chiesa" e io ho trasmesso lo stesso ai miei figli e ai miei alunni".

E il bilancio della sua vita da insegnante qual è stato?

"Mi ha dato tanto, non solo a livello professionale, le esperienze, gli incontri, i ricordi li portavo a casa e mi sono servite anche nella mia vita personale, specie di madre".

Barbara Miccolupi
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