Licheri, il 12 giugno del 1981, si calò a 60 metri di profondità e per sette volte in quel terribile budello che aveva inghiottito il corpo di Alfredino Rampi, nelle campagne di Vermicino, cercò inutilmente di salvarlo. Mentre l'Italia intera assisteva attonita al dramma in diretta tv. Fu infatti lui il volontario che decise di farsi calare a testa in giù nel pozzo, per cercare di recuperare il bambino ancora vivo. Lo fece per 40 e più minuti, nel buio assoluto, legato solo per i piedi. Raggiunse il bambino, nel frattempo scivolato da -30 a -60 metri, gli parlò, cercò di imbragarlo, di tirarlo fuori, disperatamente, anche a costo di spezzargli (come poi successe) un braccio. Però l'ultimo tentativo, come fu definito, fallì. Licheri venne recuperato ferito e allo stremo delle forze, quasi asfissiato, e una famosa foto scattata quella notte lo mostra proprio in braccio a un pompiere.

Adesso mancano poche ore dall'abbraccio di Angelo con la sua Gavoi. Sa che tra poco rivedrà amici e parenti. Sono passati 28 anni dall'ultima sua visita nel paesino del Nuorese dove è nato e cresciuto e da cui è emigrato in cerca di lavoro. "Non vedo l'ora di abbracciare tutti i miei compaesani - dice Angelo - e li ringrazio di cuore per il sostegno e l'affetto che mi stanno dimostrando. Mi hanno telefonato in tanti e ora verranno a stringermi la mano, sono commosso".

La tragedia di Vermicino lo ha segnato profondamente. "Alfredino ce l'ho sempre nel mio cuore, non sono riuscito a portarlo in Sardegna, come gli avevo promesso, lo porterò a Gavoi, in questa giornata di festa".

Per i gavoesi e per la Sardegna intera, Angelo è un eroe, un uomo che ha compiuto un gesto intrepido di altruismo e sono indignati per il trattamento che gli è stato riservato. Ora che la storia è venuta alla luce, e tutti sanno che vive con una pensione da fame e senza una gamba a causa del diabete, è scattata la catena di solidarietà. A cominciare dal comitato www.proangelolicheri.it che ha aperto una sottoscrizione per ottenere un vitalizio.

Qualche giorno fa, Licheri ha salutato medici e infermieri del San Raffaele di Roma. Per mesi lo hanno curato senza sapere chi fosse. "Cosa avrei dovuto dire 'lei non sa chi sono io'? - spiega - Sono andato a farmi curare come un paziente qualsiasi. Però di continuo arrivavano le telefonate dei giornalisti. 'Ma perché tutti cercate Angelo Licheri?', si chiedevano. 'Cosa ha fatto?' E così è venuta fuori la storia di Vermicino. Da quel momento, non lo nascondo, pazienti, personale medico e infermieristico mi hanno portato in palmo di mano".

Ha la capacità di prendere la vita così come viene Angelo. "Mi hanno anche messo una gamba nuova. La gamba di legno, però, l'ho lasciata a casa a Roma - racconta - ancora non mi sento sicuro, ho bisogno della riabilitazione. Sono in carrozzina e in questo viaggio mi accompagna la mia dolcissima moglie, Mary. La riconoscerete perché è bellissima".
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