Pubblichiamo oggi la riflessione dello storico Paolo Fadda sulla Sardegna e sui suoi malanni.

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Ai tempi della fanciullezza di quanti oggi sono diversamente giovani, non c'era medico che non prescrivesse una dose giornaliera di "Ischirogeno del dottor Onorato Battista" a quanti si trovassero nell'età critica dello sviluppo o fossero convalescenti per qualche grave malanno. Perché a quello sciroppo ricostituente s'attribuiva il merito miracoloso di ridare vigore e salute a chi li avesse persi.

Proprio per questo, si è dell'avviso che alla Sardegna d'oggi, convalescente oltre che in evidente crisi di sviluppo, bisognerebbe prescrivere una buona cura di un "New-Ischirogeno" che la rinvigorisca e la risani.

D'altra parte, ad una società debilitata come questa sarda d'oggi, resa fragile da troppi malanni, occorre rinvigorirne la costituzione divenuta sempre più debole, per via della mancanza di investimenti nelle attività produttive, sia agricole che industriali.

Ma al di là della metafora farmaceutica, quel che serve è diffondere un'efficace terapia dello sviluppo. Adeguandola innanzitutto a quelle che sono le condizioni locali: dalle disponibilità strumentali presenti nel territorio all'esistenza di un efficiente e preparato capitale sociale.

Cioè, per dirla ancor più chiaramente, si ha necessità di una terapia che sappia indirizzare, integrare ed affermare le diverse valenze locali - sia territoriali che imprenditoriali - in un disegno coerente di sviluppo regionale coordinato e diffuso.

Reclutando e mettendo insieme quelli che, per comune opinione, vengono considerati i fattori fondamentali per ottenere crescita e progresso: la disponibilità di adeguati capitali di rischio, la presenza di un capitale umano preparato e la conoscenza delle innovazioni necessarie per processi e prodotti.

Oggi tutti e tre questi fattori sono in un preoccupante deficit. A cui è necessario ed urgente porre rimedio. Partendo da una valutazione preliminare: puntare sulle sole disponibilità locali appare insufficiente per uno sviluppo autopropulsivo che crei progresso e crescita sociale.

D'altra parte, l'incapacità delle imprese locali di aver creato sinergie e collegamenti con le industrie di base nella prima industrializzazione e, ancora, i risultati sostanzialmente negativi dei patti territoriali et similia, come attuati a partire dagli anni '90, dimostrerebbero a sufficienza questa tesi. Dunque, la Sardegna da sola, con le sue sole forze, le sue modeste disponibilità e le sue scarse capacità, non appare in grado di risollevarsi in un mondo attuale sempre più concorrenziale e globalizzato.

Occorrerebbe quindi guardare all'esterno, al di là del mare, ricercando e coinvolgendo dall'esterno investimenti in capitali, in know-how, in saperi e in tecnologie innovativi. Ora, chi ha studiato le vicende storiche dell'economia isolana (ed in particolare su quanto accaduto in agricoltura e nell'industria), sa quanto si deve, in fatto di progresso, alle "lezioni" dei vari Cettolini, Serpieri, Merello, Albano, Dolcetta, Tachis, Contivecchi, Karim e di quant'altri abili "furisteris" sono stati protagonisti del progredire della nostra economia. Senza di loro - andrebbe riconosciuto - saremmo ancora a misurare i nostri ritardi in secoli.

Questo non vuol dire, ovviamente, accettare oggi dall'esterno tutto a scatola chiusa perché l'esperienza ci racconta purtroppo anche di tanti "predatori"; ma per dircela veramente tutta, si tratta di dover anche superare atavici pregiudizi ("furat chi beni de su mari") e di aprire il territorio a nuove esperienze, ad accettare la sfida con il passato e a ricercare dall'esterno nuove idee e nuove esperienze.

Occorre innanzitutto dare nuovi contenuti e più ampia diffusione ad un'acculturazione economica di taglio europeo. Che punti sull'innovazione come brand vincente e che faccia del territorio la location ottimale per il cambiamento. I casi odierni di Arborea, Thiesi, Orosei e Serdiana ne sono un perfetto esempio.

Paolo Fadda

(Storico e scrittore)

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