A consacrare don Salvatore Bussu come prete coraggio è stata la protesta del Natale del 1983 contro le dure condizioni di detenzione di Badu 'e Carros, penitenziario-polveriera dove erano concentrati tanti big del terrorismo nei complicati anni di piombo.

Uomo di Chiesa e di battaglie civili, giornalista brillante e storico direttore del settimanale diocesano L'Ortobene, don Salvatore Bussu, originario di Ollolai, è morto ieri a novant'anni, nell'ospedale di Ozieri.

REPORTER DAL CARCERE - "Sono andato là con una curiosità quasi giornalistica, volevo conoscere quel pianeta misterioso e temuto, entrare dentro, capirlo, ma, appena varcato quel portone del carcere, alla curiosità del cronista si è sostituita la passione del sacerdote... Sentivo che stavo entrando nel mondo della sofferenza più tragica, più grande di quella fisica". Così, nel libro "Un prete e i terroristi", don Bussu raccontava i sentimenti che lo hanno accompagnato il primo giorno da cappellano di Badu 'e Carros. Sacerdote dal 1953, è stato vice parroco a Oliena, quindi parroco di Gorofai a Bitti, dove matura la sua passione giornalistica fondando il periodico "Il Miracolo". In seguito è diventato canonico della Cattedrale di Nuoro, penitenziere e direttore per quasi 25 anni, dal 1978 al 1995, del settimanale diocesano.

BADU 'E CARROS: UN CASO NAZIONALE - Ospiti della sezione di massima sicurezza del carcere erano terroristi del calibro di Alberto Franceschini, Franco Bonisoli, Roberto Ognibene e Rocco Micaletto. Nel dicembre del 1983 iniziarono lo sciopero della fame contro la severità del regime penitenziario e Don Bussu, reduce da un convegno nazionale dei cappellani sulla dignità della persona umana, condivise le loro rivendicazioni. E nella sua battaglia trovò un supporto forte nel vescovo Giovanni Melis che di fronte alla determinazione dei brigatisti rinunciò a celebrare la messa in carcere il giorno di Natale affidando il compito al cappellano. Don Bussu obbedì, ma quella giornata lacerante finì con la sua autosospensione da cappellano, fino a quando non fossero cambiate le condizioni di vita anche nel braccio speciale. Arrivò a parlare di "terrorismo di Stato". Parole forti, tanto e forse più del gesto di protesta.

E l'eco del caso contribuì a dare una spinta importante all'adozione della cosiddetta legge Gozzini, nel 1986, che privilegiava l'aspetto rieducativo della carcerazione rispetto a quello punitivo.

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