Appena sente quella parola, colpevole , pronunciata alle 17,24 di ieri dalla voce flebile del presidente della Corte d'assise di Nuoro, Giorgio Cannas, inizia a scuotere il capo. Alberto Cubeddu, felpa scura e sguardo teso, abbassa gli occhi mentre più in là le mani dell'avvocato di parte civile Margherita Baragliu stringono forte quelle della mamma e del babbo di Gianluca Monni.

Subito dopo la parola ergastolo squarcia l'aula strapiena di parenti dell'imputato e delle vittime, venuti da Orune e Nule, e le tensioni affidate fino a quel momento a un silenzio pieno di brividi esplodono tra lacrime, urla e perfino insulti.

IL CORPO DI STEFANO - "Ocanche a Stefano" , dice Marco Masala, padre del ventinovenne di Nule sparito la sera prima dell'omicidio di Gianluca Monni a Orune, nel maggio 2015.

Si rivolge direttamente a Cubeddu per chiedergli di "tirar fuori" il corpo del figlio. "Non abbiamo niente da festeggiare, ci manca la cosa più importante. Questo è il terzo processo, li hanno condannati - aggiunge pensando anche a Paolo Enrico Pinna, cugino di Cubeddu - a lui forse conviene dire dov'è Stefano. Li condannano i giudici, non io. Noi ci siamo da subito affidati alla magistratura, ma ora lo Stato non ci deve abbandonare nelle ricerche di Stefano. Noi le riprenderemo già domani".

"Sarà giustizia per la famiglia quando i resti di Stefano torneranno a casa, accanto alla tomba della mamma", dice Caterina Zoroddu, legale dei Masala. "Rispettiamo la sentenza, logica e coerente con le risultanze processuali", aggiunge.

LA FOTO DI GIANLUCA - Rita Gaddeo e Salvatore Monni, i genitori di Gianluca, vanno via subito, in silenzio. Lei in lacrime, al momento della sentenza guarda il telefono dove c'è la foto del figlio.

"Izicheddu meu de su coro" , sussurra tenendo stretta la mano dell'avvocato Baragliu che sta in mezzo ai genitori dello studente di Orune fino all'abbraccio finale col padre. Liberatorio. Antonello Cao, altro legale dei Monni, è in lacrime. "C'è tanto dolore", confessa.

RABBIA E INSULTI - Oltre le transenne rabbia e parole laceranti. "No!". "Ditemi che sto sognando". "Non è possibile". "Non è vero". Le urla si rincorrono, miste ai singhiozzi di disperazione dei parenti di Cubeddu, che hanno sperato in un esito diverso della sentenza.

Ma c'è anche chi grida "assassini" guardando verso le sorelle del ventiduenne di Ozieri, appena condannato all'ergastolo. In quel momento il dolore annebbia tutti, parole fuori posto fanno salire la tensione alle stelle.

Nule è comunità spezzata in due, ferita doppiamente, comunque sconfitta da un incubo condiviso anche con Orune. Lo strazio dei Masala non può incrociare quello dei Cubeddu. E non si incrociano neppure i loro passi: i Masala lasciano il palazzo di Giustizia per primi; gli altri, sommersi dalla pesantezza della condanna, vanno via dopo portando fuori singhiozzi di disperazione.

"Il buon Dio vede lassù le cose, mio nipote non c'entra niente", dice la zia guardando un carabiniere mentre Mattia Doneddu, difensore di Cubeddu, rifugge i commenti per dare sostegno ai genitori e agli altri familiari del giovane condannato.

Misura le parole Patrizio Rovelli, l'altro legale del giovane: "Il mio lavoro inizia domani mattina (oggi ndr) perché Alberto Cubeddu è innocente e lo proverò".

Marilena Orunesu

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