La prima ad aver avviato inchieste contro la Marina militare è la figlia di un dipendente dell'Arsenale morto nel settembre 1984 a causa di un mesotelioma pleurico che i familiari attribuiscono all'esposizione all'amianto sul luogo di lavoro.

"A oggi - scrive nell'esposto Giuseppina Bartolozzi, assistita dall'avvocato Ezio Bonanni con il supporto di Ona, Osservatorio nazionale amianto - il sito non è stato ancora bonificato e la sottoscritta chiede che l'autorità giudiziaria accerti chi, volontariamente e scientemente, ha disposto di sfregiare il territorio di La Maddalena con un disastro ambientale che è sotto gli occhi di tutti".

Nel mirino la Marina militare e ogni altro ente sospettato di violazioni delle norme in materia di sicurezza sul lavoro in relazione al gran numero di decessi e di ammalati tra i colleghi.

Il padre di Giuseppina, Giulio, era addetto alla riparazione delle celle frigorifere, dove l'amianto era utilizzato come materiale isolante. Per tutto il periodo di lavoro, denuncia la figlia, "ha lavorato in assenza di qualsiasi informazione sul rischio cui era esposto e senza essere munito di alcuna protezione in un ambiente di lavoro, chiuso, dove non venivano aspirate le polveri nè confinati i luoghi in cui c'era la dispersione di fibre di amianto".

La firmataria dell'esposto rileva che "tutti i materiali di amianto e altri rifiuti delle officine della base della Marina militare di La Maddalena sono stati gettati in mare, inquinando l'intera zona, tanto è vero che le imbarcazioni non possono transitare nell'area contaminata".
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