Sono state l'assunzione di cocaina e l'asfissia, causata "con molta probabilità" dalle modalità dell'arresto e in particolare dalle operazioni di contenimento e immobilizzazione, a provocare la morte di Riccardo Magherini. Questo quello che i periti Gian Aristide Norelli e Martina Focardi hanno scritto nella relazione sul caso del 40enne fiorentino morto nella notte tra il 2 e il 3 marzo scorso dopo essere stato arrestato dai carabinieri in una strada di Firenze.

Secondo quanto emerso, i militari erano stati chiamati poco dopo mezzanotte in borgo San Frediano perché un uomo, a torso nudo e in evidente stato confusionale, urlava. Per bloccarlo, i carabinieri avevano chiamato rinforzi e poi l'ambulanza. Nonostante l'arrivo dei sanitari, per i legali della famiglia Magherini i carabinieri hanno impedito i soccorsi perché l'hanno tenuto a terra con le manette ai polsi, fino a quando non è arrivato un medico. In questo tempo, scrivono i periti, le manovre di costrizione e i tentativi del 40enne di liberarsi hanno provocato "un rilascio di catecolamine che può ritenersi concausa di morte per la liberazione adrenegetica ad essa riconducibile". In sostanza Magherini, che si trovava già in preda "a un'intossicazione acuta da cocaina", con una sindrome di tipo "excited delirum", avrebbe avuto una crisi respiratoria che lo ha portato all'arresto cardiaco. La morte, dicono i medici legali, poteva invece essere scongiurata se l'uomo fosse stato messo in piedi o comunque in una posizione diversa da quella prona in cui era costretto.

La Procura di Firenze, che ha aperto un'inchiesta, ha iscritto nel registro degli indagati 11 persone: quattro carabinieri, tre volontari dell'ambulanza arrivata sul posto, il medico e l'infermiere arrivati con l'automedica, e due operatori della centrale del 118 che avevano coordinato i soccorsi.
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