Cinquanta giorni sulla torre faro dell'aeroporto di Olbia, la maglietta rossa al posto della divisa da comandante, per illuminare la vertenza Meridiana. Quattro anni dopo Andrea Mascia, il pilota cagliaritano ideatore (insieme all'assistente di volo Alessandro Santocchini) della clamorosa protesta, è fuori dalla compagnia con un "debito" da pagare alla giustizia per l'occupazione.

Per chiudere il procedimento, ha chiesto la messa alla prova con un periodo di impiego sociale per la Caritas. La compagnia, nel frattempo, continua a ridurre l'occupazione in Sardegna.

Si aspettava guai giudiziari?

"No, perché l'azione non era improvvisata".

Con che spirito affronta la messa alla prova?

"Lavorerò a Cagliari, alla Caritas di Sant'Eulalia. Avvicinarsi ai Servizi sociali è un'esperienza nuova dalla quale si impara sempre qualcosa".

Lunedì sarà il quarto anniversario dell'occupazione. Come era iniziata?

"Era stata aperta la procedura per il licenziamento collettivo ed è iniziata la vertenza con diverse manifestazioni. L'attenzione però si stava spegnendo e abbiamo pensato che ci voleva un po' di energia. Prima avevamo individuato il museo archeologico ma era troppo staccato dall'aeroporto. Così ci è venuta l'idea del palo".

Voi piloti siete stati spesso accusati di essere dei privilegiati.

"Bisogna intendersi sul significato di privilegio. Certo, noi avevamo una situazione economica confortevole, una busta paga invidiabile. È vero però che ogni lavoro ha le sue peculiarità, noi possiamo perdere il posto di lavoro facilmente siamo sottoposti a controlli continui, il brevetto costa molto e dobbiamo sacrificare molto alla vita privata. Ma è anche vero che forse non siamo stati abbastanza consapevoli e non abbiamo dato attenzione a quelle categorie di lavoratori che quei privilegi non li avevano".

Quattro anni fa si invocava un partner forte. Ora c'è ma i problemi restano. Cosa non ha funzionato?

"Una compagnia piccola non può reggere, a meno che non ci sia il supporto della politica che crea le condizioni per cui la compagnia si può sviluppare. Un modello è AirMalta, un altro Air Corsica che fa un buon servizio. Nella nostra situazione un partner era indispensabile. Ora noi sardi ci aspettiamo che questa compagnia resti con caratteri sardi ma non possiamo obbligare un'azienda privata a fare quello che vorremmo noi. Avevamo una compagnia di bandiera e l'abbiamo persa perché secondo me l'abbiamo maltrattata. La politica non è stata in grado di creare sviluppo".

La politica ha gestito le fasi dell'accordo con Qatar Airways. Poteva farlo in maniera diversa?

"Non è stata all'altezza. L'assessorato regionale ai Trasporti all'epoca diceva che non c'erano soluzioni e invece la politica è chiamata a trovare soluzioni, la politica nazionale ha cercato di scaricare la responsabilità perché un licenziamento di massa è sempre una patata bollente. La compagnia ha chiuso con quel ruolo sociale che aveva in Sardegna, lo tiene ancora un po' ma dobbiamo aspettarci anche che vada via perché è sua prerogativa decidere come operare sul mercato e ha il diritto e il dovere di tutelare se stessa, i posti di lavoro che ci sono e gli utili dell'imprenditore. In Sardegna, al momento, il mercato stagionale non giustifica più una compagnia aerea basata sull'Isola. Almeno finché non arriva un nuovo ciclo".

Oggi risalirebbe sulla torre faro?

"Sì. Magari con un esito diverso, chissà. Io prima costruivo canoe, in modo artigianale, ero poverissimo. Poi sono diventato pilota ed è stato il mio 13 al totocalcio. L'esperienza del palo ha modificato in bene e in male la mia vita e ha aperto una nuova fase. La compagnia non ha capito e l'occupazione è stata vista da qualcuno come un affronto personale e invece era un atto di attaccamento all'azienda. Mi hanno licenziato prima di arrivare alla pensione. Ma anche questa voglio vederla come una fortuna: non ho fatto l'ultimo volo".

Caterina De Roberto

© Riproduzione riservata