Genocidio, crimini di guerra e contro l'umanità: è l'accusa lanciata dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite contro i vertici dell'esercito birmano, ed è il risultato di un'inchiesta indipendente condotta in Myanmar nel corso del 2017.

Nessuno sconto per chi ha gestito la guerra scoppiata nel Paese tra l'esercito birmano e la minoranza etnica musulmana dei Rohingya, a partire dal comandante in capo Min Aung Hlaing e i più alti generali dell'esercito, come recita il rapporto Onu: "I principali generali della Birmania devono essere oggetto di inchieste e processi per genocidio nel nord dello stato di Rakhine, oltre che per crimini contro l'umanità e crimini di guerra negli stati di Rakhine, Kachin e Shan". Deportazioni, uccisioni indiscriminate, stupri, distruzione di interi villaggi, commessi in aperta violazione del diritto internazionale, come riporta il rapporto dell'Onu, a circa un anno dall'inizio dell'esodo forzato dei civili rohingya verso il vicino Bangladesh.

La leader birmana Aung San Suu Kyi
La leader birmana Aung San Suu Kyi
La leader birmana Aung San Suu Kyi

E le responsabilità pesano anche sui rappresentanti del Governo birmano, prima tra tutti la leader Premio Nobel Aung San Suu Kyi, che non "ha usato la sua posizione di capo del governo de facto, né la sua autorità morale, per arginare o impedire gli eventi in corso nello stato di Rakhine".

Dal canto loro, le autorità birmane non hanno ancora replicato al rapporto dell'Onu, ma nel frattempo il colosso social Facebook chiude gli account di alcuni vertici militari del Paese per "prevenire la diffusione di odio e disinformazione".

(Unioneonline/b.m.)
© Riproduzione riservata