C’è chi, davanti alle macerie di Genova, si è trovato per un caso del destino. Chi ha raggiunto il luogo del disastro perché è quello il suo lavoro. E chi, dalla tranquillità della propria famiglia, ha lasciato tutto per andare, del tutto volontariamente, a dare una mano. Ed è lì da più di una settimana.

È il caso di Vittorio Obinu, 61 anni, nato a Genova ma originario di Bosa sia per parte di madre che di padre. Quella mattina del 14 agosto era a casa sua, a Sciarborasca, una frazione di Cogoleto, in provincia di Genova.

Direttore di banca in pensione, e volontario per l’Anpas con la Croce d’Oro Sciarborasca da almeno vent’anni, posizione cuoco, di emergenze ne ha viste tante. È stato a L’Aquila, colpita dal terremoto nel 2009, a Mirandola, in Emilia Romagna, nel 2012, e nel Centro Italia. Nella regione dove è cresciuto, la Liguria, c’era nei giorni dell’alluvione di Monterosso (dove morì il volontario di Arbus, Sandro Usai) e nei numerosi allagamenti che hanno colpito Genova.

"Ma una tragedia come quella del Ponte Morandi - racconta a Unionesarda.it - non l’avevo mai vista".

Qual è stata la sua prima reazione quando ha saputo cosa è successo?

"Ho avvertito una ferita nell’orgoglio. Profondissima. Io e il ponte abbiamo più o meno la stessa età. E lì ci siamo passati tutti, noi genovesi, e non soltanto. È un collegamento tra Levante e Ponente. Ora che è inagibile siamo spaccati in due: come se non ci fosse la Carlo Felice in Sardegna, per intenderci".

Come vi siete organizzati quel giorno?

"La chiamata l’ho ricevuta subito, poco dopo il crollo del ponte. Sul posto sono arrivato alle 17 con le prime squadre, poi sono sopraggiunti i rinforzi. Alle 19:30 siamo riusciti a preparare i primi piatti caldi".

Cosa ha visto appena arrivato?

"Scene che non dimenticherò mai. Macerie ovunque, automobili e tir ancora sul bordo di quello che restava del viadotto, i vigili del fuoco sospesi in aria, a tagliare i cavi pericolanti. Bisognerebbe fare loro un monumento, sono stati incredibili".

contentid/image.731250
contentid/image.731250

Gli stessi vigili del fuoco a cui voi avete fornito assistenza già da quelle prime, drammatiche, ore…

"Esatto. Abbiamo sostenuto vigili del fuoco, polizia, carabinieri, volontari di qualsiasi ordine e grado. Noi facciamo il possibile per dare loro l’energia necessaria per lavorare. Ma ci sono squadre intere di terapeuti che li aiutano sotto il profilo psicologico. Quello che hanno fatto loro, recuperare corpi difficilmente riconoscibili, difficilmente si può digerire. Gli psicologi hanno poi lavorato ininterrottamente con i parenti delle persone che sono rimaste sotto le macerie. Con chi potrebbe perdere la casa. E con chi si è salvato per un pelo. Come Vittorio".

Chi è Vittorio?

"Una persona fantastica che ho conosciuto qui. Lui era sul ponte, a bordo di un camion. Ha visto crollare il viadotto davanti a sé e ha avuto la prontezza e la lucidità di inchiodare, salvando così se stesso e le auto che erano dietro di lui. Quando gli ho parlato mi ha detto di essersi chiesto tante volte il perché si fosse salvato mentre altre persone, a pochi metri da lui su quel ponte, non ci sono più. Domande che non dovresti porti mai e, per non pensarci, ha ripreso a lavorare, subito. E, operando nel campo dell’ortofrutta, a darci una mano".

E gli sfollati?

"Per i primi giorni ne abbiamo avuti 400, tutti i residenti di quella che all’inizio era considerata la zona rossa. Ora ne abbiamo circa 200 ma credo, e spero di no, che torneranno ad aumentare, perché il ponte, il troncone lato Genova, scricchiola ancora. Ci potrebbe essere un pericolo di crollo più o meno imminente e la zona rossa potrebbe allargarsi".

I volontari
I volontari
I volontari

Oggi, a poco più di una settimana di distanza, che atmosfera si respira sotto il tendone?

"Dopo le prime ore di emergenza, giorno dopo giorno ci stiamo attrezzando sempre meglio. Sforniamo intorno ai 1.100 pasti al giorno e lavoriamo dalle 7 alle 23, qualche volta anche di notte. I soccorritori mangiano qui con noi; per gli sfollati, invece, portiamo i pasti nei punti di ristoro".

Chi vi ha aiutato in questi giorni?

"I volontari sono tantissimi, giovani, meno giovani. La nostra protezione civile ce la invidia tutto il mondo. Io credo che ce la caviamo egregiamente, a distanza di anni abbiamo acquisito una certa professionalità. E ora tutti ci vogliamo bene. E poi ci sono i genovesi, che cercano di dare una mano come possono, magari portandoci un pacco di pasta o generi di prima necessità. E le grandi aziende private che si occupano di generi alimentari, non faccio nomi perché rischierei di dimenticare qualcuno. Insomma, una vera e propria catena di solidarietà. L’unica difesa quando, fuori da questo tendone, ci sono tanto dolore e tanta incertezza".

Angelica D’Errico

(Unioneonline)

© Riproduzione riservata