"No Way. You will not make Australia home": in sintesi, "L'Australia non sarà mai causa tua".

È quanto recita una scritta a caratteri cubitali rossi sullo sfondo di un mare in tempesta, un video che è anche il manifesto della missione militare australiana "Sovereign Borders", lanciata alla fine del 2013 dal governo di Tony Abbot.

Si tratta di una delle più dure politiche migratorie attuate nei paesi a capitalismo avanzato, e che è stata citata dal ministro degli Interni Matteo Salvini come obiettivo cui vuole tendere anche in Italia.

In sostanza, il "No Way" australiano prevede che le "boat people", termine forse discutibile con cui vengono indicate le imbarcazioni che portano i cosiddetti clandestini, vengano affrontate da uno schieramento di natanti militari.

I respingimenti si protraggono addirittura in acque internazionali, e i pochi che riescono a entrare nello spazio australiano vengono rinchiusi nei centri di detenzione, per essere poi processati fuori dai confini nazionali.

Nessuna "chance", dunque, per chi arriva dal mare, per un ricollocamento in Australia.

L'iniziativa è stata lanciata da una campagna informativa accompagnata, appunto, da un video-manifesto, con protagonista il generale Angus Campbell (comandante dell'operazione) intento a spiegare gli effetti del provvedimento.

"Non ci si può stabilire in Australia arrivando illegalmente via mare", il succo del messaggio, che è stato pubblicato inizialmente in inglese per poi essere diffuso in molte altre lingue e versioni.

Sulla reale efficacia di questa grande operazione non si hanno al momento dati certi: le tabelle pubbliche con numeri su sbarchi e rilevamenti forniscono informazioni frammentarie e non aggiornate, seppur siano chiari i costi esorbitanti sostenuti dal governo australiano, circa 300 milioni di euro nel solo primo biennio e per sole spese militari, escludendo quindi quelle, non certo banali, legate ai centri di accoglienza.

GUARDA IL VIDEO:

(Unioneonline/v.l.)
© Riproduzione riservata