"Come è possibile che un ragazzo muoia in quel modo nell'ambito dello Stato? Quando l'ho visto, all'obitorio, non sembrava Stefano... Ma un marine morto in Vietnam con il napalm".

Queste le parole di Giovanni Cucchi, padre di Stefano - il 31enne romano morto nel 2009 durante la custodia cautelare - che ha parlato in aula come testimone nel processo celebrato nella Capitale che vede imputati cinque carabinieri.

Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro, Francesco Tedesco, rispondono di omicidio preterintenzionale. Tedesco risponde anche di falso nella compilazione del verbale di arresto di Cucchi e calunnia insieme al maresciallo Roberto Mandolini, all'epoca dei fatti a capo della stazione Appia, dove venne eseguito l'arresto.

Vincenzo Nicolardi, anche lui carabiniere, è accusato di calunnia con gli altri due, nei confronti degli agenti di polizia penitenziaria che vennero accusati nel corso della prima inchiesta sul caso.

"Dopo l'arresto, non appena ci dissero che era al Pertini, noi andavamo tutti i giorni in ospedale, senza riuscire a vedere Stefano né ad avere notizie su di lui - ha spiegato Cucchi - ma il fatto che stesse lì per noi era motivo di conforto perché anche se la situazione ci preoccupava era in mano ai medici e questo ci faceva pensare che lo avrebbero aiutato. Quel giovedì in cui ci hanno chiamato per dirci che era morto è stato uno shock".

"Dissero - ha aggiunto - che 'Stefano si era spento...e le carte erano tutte a posto".

(Unioneonline/F)

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