Ricorso rigettato, misura interdittiva (un anno di sospensione) confermata.

È la decisione del Tribunale del Riesame di Roma sull'appello presentato dal magistrato di Tempio, Alessandro Di Giacomo, indagato per la presunta turbativa d'asta legata alla vendita della villa dell'imprenditore arzachenese Sebastiano Ragnedda.

Il legale di Di Giacomo, il penalista Gian Domenico Caiazza, aveva chiesto la revoca della sospensione, sulla base di una lunga serie di motivazioni che riguardano, tra le altre cose, l'andamento dell'asta giudiziaria finita nel mirino del pm romano Stefano Rocco Fava (secondo la tesi di Di Giacomo, conclusa con la corretta e lecita assegnazione della villa) e l'assenza di rapporti (che non emergono dalle intercettazioni) tra il magistrato e gli aggiudicatari del bene, i magistrati Andrea Schirra e Chiara Mazzaroppi.

La ricostruzione della difesa, per ora, non convince i giudici.

È stato rigettato anche l'appello del pm Fava, che chiedeva al Riesame la modifica della misura, dalla sospensione al carcere.

Dopo la decisione del Tribunale di Roma, la situazione è questa: la sospensione riguarda, oltre a Di Giacomo, il perito Ermanno Giua (che si è occupato di stabilire il valore della villa di Ragnedda) e il giudice (oggi a Sassari) Elisabetta Carta (accusata di violazione del segreto istruttorio) che ha già presentato appello contro la misura interdittiva.

Andrea Busia

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