Sono almeno 17 le vittime della sparatoria messa in atto dal liceo Marjory Stoneman Douglas di Parkland, in Florida, da un ex studente, armato fino ai denti. Numerosi anche i feriti.

Secondo una prima ricostruzione, il giovane, Nikolas Cruz, 19 anni, ha fatto irruzione nell'istituto (che ospita fino a tremila allievi) imbracciando un fucile automatico.

Una volta all'interno ha attivato l'allarme anti-incendio e atteso che gli studenti si radunassero nell'atrio. Quindi ha iniziato a fare fuoco.

Il killer, hanno raccontato testimoni, indossava una maschera anti-gas e aveva con sé anche granate fumogene.

Quindi, dopo il massacro (già ribattezzato come la "strage di San Valentino"), mentre le forze dell'ordine circondavano in massa l'edificio, il 19enne si è confuso con i coetanei, che nel panico si sono riversati fuori con le braccia alzate o in fila indiana oppure si sono nascosti nelle aule, aiutati dai professori, in cerca di scampo.

La polizia è però riuscita a rintracciarlo e a metterlo in manette.

Non è chiaro cosa abbia innescato la follia omicida. Cruz al momento viene solo descritto come uno studente "con numerosi problemi", appassionato di armi e frequentatore di siti per il confezionamento di ordigni. Altro particolare: era stato espulso dal liceo. La sua, quindi, potrebbe essere stata una vendetta.

Di certo c'è che questa ennesima carneficina rinfocola il dibattito - e le polemiche - sull'accesso facile alle armi negli Stati Uniti.

Armi che molto - troppo - spesso - sono impiegate per versare sangue nelle scuole.

Sembra esserne consapevole anche il presidente Donald Trump, che su Twitter ha commentato: "Nessun ragazzo o professore o nessun altro dovrebbe sentirsi insicuro all'interno di una scuola americana".

Così purtroppo non è stato per gli studenti di Parkland.

(Unioneonline/l.f.)

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