Ad Austis, il suo paese, l'usanza era il pedi coccone.

"Noi bambini bussavamo di casa in casa e ricevevamo in dono soprattutto castagne e nocciole", racconta il professor Benedetto Meloni, ordinario di sociologia dell'ambiente e del territorio all'Università di Cagliari.

È un ricordo della fanciullezza e oggi, rileggendo con gli strumenti del docente i simboli di quella tradizione che ancora resiste in molti centri della Sardegna, dice che sì, "Halloween non può essere liquidata come un elemento di totale importazione. Intanto perché deriva da antiche usanze europee legate al culto dei morti, e poi perché si è innestata in una tradizione pregressa, importante e ancora praticata. Se c'è un rischio che la moda cancelli l'usanza? Ma no, diciamo che sono tradizioni parallele che talvolta si ibridano".

I SIMBOLI - La coreografia di Halloween avrà pure l'impatto dirompente di una moda, ma tra zucche iridescenti (peraltro usanza di molti paesi dell'Isola) e costumi stregoneschi sembrano aver ritrovato ancor più vita i nostri riti di evocazione dei defunti.

Dal Nuorese al Campidano, dalla Gallura all'Oristanese, dal Cagliaritano all'Ogliastra.

Sono i bambini, anime candide, i sacerdoti della questua di Ognissanti. Bussano alla porta di ogni famiglia e chiedono qualcosa in nome delle anime ricevendo dolci, pane, frutta secca, agrumi.

"Altro non era che un meccanismo di scambio dei beni sacralizzato nella celebrazione dei defunti. Sì, una sorta di mutuo soccorso - sottolinea Benedetto Meloni -, un modo per far circolare prodotti che non tutte le famiglie avevano. Ad Austis, per esempio, non tutti potevano disporre di una provvista di castagne e nocciole".

I bambini, poi, bussavano a ogni portone, liberi da logiche di inimicizie, faide, liti di vicinato.

"Passavano dappertutto: si ridefiniva così la rete di appartenenza alla comunità".

L'ELEMOSINA - Dolores Turchi, studiosa di tradizioni popolari, puntualizza che si trattava "di un'usanza molto seria: un rito in suffragio delle anime. Quale l'origine? Sono rituali legati alle Antesterie, le feste celebrate in onore di Dioniso che si credeva tornasse per qualche giorno sulla terra e alle feste delle anime nell'antica Roma".

E Halloween, avvisa, "con tutto il suo carico di festa commerciale non fa che deformare la nostra tradizione che sembra essere diventata un gioco".

Al suo paese, Oliena, la tradizione si chiama pane e binu e sì, come in tantissimi centri dell'Isola, "non è stata mai dimenticata. Ovunque in Sardegna ci fu una sospensione negli anni del consumismo, poi è ricomparsa durante la crisi economica".

Anticamente, racconta, "succedeva che anche gli adulti andassero a fare la questua. Erano i poveri del paese che si coprivano bene per non essere riconosciuti".

NUOVA VITA - Un tempo, spiega Tatiana Cossu, antropologa dell'Università di Cagliari, "era la ricorrenza che segnava la chiusura del ciclo agricolo e l'avvio del nuovo. Una festa che, nella sua specificità del progettare la nuova produzione con riti che richiamavano la benevolenza dei defunti, ritroviamo anche in terre molto lontane, come l'Oceania".

Quella Sardegna è scomparsa.

"Il paese si è trasformato. Non c'è più quel contesto economico e sociale che faceva da sfondo a tradizioni che coinvolgevano famiglia e comunità. Oggi magari c'è il desiderio di ricercare le usanze e riproporle, ma si tratta di una rievocazione".

LE RADICI - Non è dunque Halloween il danno.

"Il problema, invece, è che stiamo abolendo i nostri riti, togliamo ai bambini momenti di crescita importanti, fondamentali - dice Lorenzo Braina, pedagogista -. Pensiamo solo ai dolci per la ricorrenza dei morti: un tempo i papassinos si facevano solo per Ognissanti, oggi li troviamo tutto l'anno".

Ma qual è l'importanza dei riti da un punto di vista pedagogico?

"Danno radici ai bambini. Insegnano loro lo scorrere del tempo, il passaggio delle stagioni, la felicità dell'attesa e del gustare qualcosa che si è desiderato a lungo".

Piera Serusi

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