I l tempo scorre veloce e noi cambiamo idea ancora più in fretta. Ricordate? Il 28 gennaio il Consiglio d'Europa, un'organizzazione che promuove democrazia, diritti umani, identità e cultura con 47 Stati membri e sede a Strasburgo, ha votato contro i passaporti sanitari. Maggioranza larghissima. All'epoca prevaleva il diritto del singolo di rifiutare la cura. Chi dice no al vaccino non può essere discriminato: viaggi, ma anche ristoranti, teatri o stadi, non possono essere riservati a chi dice sì.

Neanche due mesi e il Parlamento europeo approva il Digital Green Certificate, documento vaccinale pensato per riaprire al turismo. Il diritto di dire no è bypassato perché ora preme quello di ricominciare a vivere: muoversi oltre il proprio Comune, spostarsi da una regione all'altra, viaggiare per il globo senza rischiare di ammalarsi. Consegniamo volentieri i nostri dati sanitari, che finora abbiamo gelosamente custodito rivendicando il diritto alla privacy, in cambio di altre libertà. Succede per i vaccini ma prima ancora per i tamponi: dobbiamo farlo per andare in vacanza? Subito. E se ci dovessero chiedere se abbiamo avuto il Covid? Ecco il certificato medico. Siamo tutti d'accordo, o quasi. Oggi.

Un anno fa molto meno, e il motivo sembra evidente: nel 2020 pensavamo che due mesi chiusi in casa sarebbero bastati a debellare il virus. Messi davanti a una realtà assai diversa dalle nostre previsioni ci siamo adeguati pure all'obbligo di indossare sempre e ovunque la mascherina, al chiuso e all'aperto.

L a porta con convinzione il 92% degli italiani (dati Istat). Ma non solo: l'80,2% considera utili le misure restrittive, e questo succede forse perché il 75,2% pensa che usciremo dall'emergenza tra molto tempo. Questa nuova consapevolezza ci porta a cambiare idea su questioni fondamentali. Finché eravamo certi che tutto sarebbe passato presto litigavamo su corsette attorno al palazzo, rivendicando libertà figlie di diritti insopprimibili, in difesa dei quali ci siamo accalorati perfino sulla differenza tra legge, decreto legge e dpcm. Ora che abbiamo capito la portata della pandemia siamo disposti a fare importanti rinunce: la percezione della sfera inviolabile cambia insieme alla curva dei contagi. E così pensiamo che medici e infermieri non possano rifiutare il vaccino. La Costituzione sta dalla nostra parte: la salute è un diritto individuale ma anche un interesse collettivo, e nessuno può essere obbligato a trattamenti sanitari, a meno che non lo preveda una legge. Quindi: ci vuole una legge. Ed è proprio quanto ha annunciato Draghi. Così il dibattito si sposta sulle sanzioni: se un medico rifiuta il vaccino può essere licenziato? E ancora: quali responsabilità hanno le strutture che non prendono provvedimenti contro chi non si vaccina? Questioni delicatissime che hanno a che fare coi diritti e la vita delle persone, e come tali coinvolgono tutti. Per il momento c'è una sentenza del Tribunale di Belluno secondo cui è corretta la decisione del datore di lavoro che ha messo un operatore sanitario no vax in ferie forzate. Il decreto legge allo studio della ministra Cartabia pare vada in questa direzione. Ma è facile immaginare che a breve quelle domande riguarderanno tutti i posti di lavoro. Saremo di nuovo d'accordo? Quanto siamo ancora disposti a cedere? Forse non lo sappiamo neppure noi, l'emergenza infinita fiacca la nostra resistenza e sposta le nostre convinzioni come mai avremmo immaginato. Basta guardarsi intorno: la Campania, per esempio, consegna un documento agli immunizzati in vista di qualcosa che soltanto loro potranno fare. Ma davvero queste decisioni, discriminatorie nel momento in cui il vaccino non è a disposizione di tutti e ovunque infuriano feroci polemiche sui criteri di precedenza, possono essere delocalizzate? Anche in Sardegna si levano voci per aprire ai vaccinati. Pochi, fortunati e subito. E i diritti di tutti gli altri che aspettano il loro turno? Il desiderio di tornare al più presto a una vita normale unito alla paura di non farcela ci porterà a nuovi cedimenti? È vero che dall'altra parte del globo c'è chi propone modelli di ripresa legati proprio ai certificati medici. Israele in primis, ma anche New York: partite, eventi e intrattenimento per chi è vaccinato o negativo al tampone. Ed è proprio questa seconda possibilità a evitare di calpestare i diritti di chi è in fila. Potrebbe essere una soluzione. La Thailandia, invece, riapre i confini solo a chi prova l'avvenuta vaccinazione. Si comincia con Phuket, dove sarà immunizzato il 70% dei residenti. Dunque, prima si mette in sicurezza la popolazione locale: anche questa è una via da seguire. Ma, visto che i vaccinati possono ammalarsi, il turista sarà comunque sottoposto al tampone. È un modello replicabile dalle nostre parti? La risposta è sì, a patto che si proceda veloci con la vaccinazione dei residenti. E siamo alle dolenti note. Gli Stati Uniti hanno somministrato 133 milioni di dosi, la Cina 91, l'India 55, il Regno Unito 33, la Germania 12, la Francia 10. L'Italia arranca con 9 milioni e la Sardegna è penultima fra le regioni. Ma noi ora pretendiamo che si sbrighino. Ed è questo il nostro nuovo diritto.

MARIA FRANCESCA CHIAPPE
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