N ei giorni scorsi è arrivato il primo decreto-legge del governo Draghi. Si chiama Decreto Sostegni e prevede la cancellazione delle vecchie cartelle fiscali fino a 5 mila euro sinora non pagate e riferite al periodo 2000-2010, limitatamente a chi ha un reddito annuo inferiore ai 30 mila euro.

Il decreto si presenta come una soluzione di compromesso tra la Lega di Matteo Salvini che, spalleggiata dai 5Stelle, chiedeva la rottamazione di 60 milioni di vecchie cartelle esattoriali per debiti fiscali maturati dal 2000 al 2015 e la sinistra di Pd e Leu che invece avrebbero voluto solo una rottamazione mirata e chirurgica, più limitata nel tempo e riferita a crediti esattoriali inesigibili perché collegati a imprese fallite o a contribuenti defunti. In Consiglio dei ministri, l'altolà del Pd è stato perentorio: «Le risorse devono andare a imprese e famiglie, non a stralciare le multe. O voteremo contro». Di fronte allo stallo, alla fine è prevalsa la mediazione di Draghi, che ha elogiato tutti per il compromesso raggiunto.

Il decreto stanzia altri 32 miliardi in deficit, dopo gli oltre 108 già stanziati dal governo Conte nel corso del 2020. Di questi, circa 11, come ha spiegato il ministro dell'Economia Daniele Franco, andranno alle imprese per i ristori, di cui beneficeranno circa 3 milioni di soggetti, ricevendo in media 3.700 euro. Altri 8 miliardi serviranno per la proroga della cassa integrazione e per il contrasto alla povertà, di cui un miliardo andrà ad aumentare il Reddito di cittadinanza.

I l blocco dei licenziamenti, ha spiegato il ministro del Lavoro Orlando, andrà avanti fino al 30 giugno. Poi, fino alla fine di ottobre, sarà prorogato solo per le piccole aziende e quelle del terziario con la cassa in deroga. Due miliardi e mezzo serviranno anche per la decontribuzione a favore dei lavoratori autonomi.

Inoltre, per potenziare la campagna di vaccinazione sono previsti altri 5 miliardi, dei quali 2,8 per l'acquisto di vaccini e farmaci. Ci sono poi interventi a sostegno degli enti locali, delle forze di polizia, dei lavoratori dello spettacolo e dello sport. Anche il turismo beneficerà di contributi trasversali, dai ristori al bonus sulle bollette elettriche, dai sostegni ai lavoratori stagionali agli interventi per il comparto neve.

Tutti contenti dunque? Ma neanche per idea. Monta la protesta di partite Iva e liberi professionisti per le misure da loro considerate insufficienti. La bozza che prevedeva tremila euro a pioggia per tutti è stata scartata dal governo, dove è prevalso un calcolo più restrittivo, che porterà secondo i diretti interessati solo pochi spiccioli nelle tasche dei lavoratori autonomi. Nei comunicati ufficiali di associazioni di categoria e di ordini professionali, si parla di briciole e di elemosina.

Peraltro, la protesta monta anche da parte dei sindacati. Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto un incontro urgente al governo per discutere del blocco dei licenziamenti e avviare una programmazione che vada oltre la pace col fisco. Il loro obiettivo è quello di avviare una riforma fiscale complessiva come strada maestra per uscire dalla crisi economica e dalla contrapposizione sociale. In una dichiarazione congiunta, si parla di “condoni fiscali mascherati”. Per loro, la cancellazione dei debiti fiscali equivale a svuotare «il 56% dell'archivio dell'Agenzia delle Entrate», mentre il leader della Cgil, Maurizio Landini, è ancora più esplicito nell'esprimere il no ai condoni: «i lavoratori devono essere vaccinati, non licenziati».

Nella conferenza stampa di presentazione del decreto, Mario Draghi è apparso sicuro di sé, rassicurante e anche ironico. Ha mostrato l'opportunità di riproporre ai partiti che lo sostengono una stagione politica nuova, un'occasione per ricostruirsi e rilegittimarsi. Ha spiegato anche «l'esigenza di dare soldi e non di chiederne», almeno finché c'è la pandemia. Infine, è riuscito a inquadrare in una cornice di pragmatismo, senza veleni ideologici, anche un argomento spinoso e divisivo come il prestito europeo del Mes sulla sanità: quando ci sarà un piano ben definito, ha spiegato, deciderà il Parlamento se prendere o meno quei soldi.

BENIAMINO MORO

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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