N ella terza ondata della pandemia il numero dei contagi quotidiani ha sfiorato i 24 mila casi prima di ricominciare a scendere: è rimasto, quindi, lontano dai 35 mila della seconda ondata.

La letalità si è ridotta: il che in larga misura suggerisce che curiamo un po' meglio le persone, anche perché, questa volta, le strutture ospedaliere non sono collassate. In parte, però, conta anche il fatto che un certo numero di italiani si è immunizzato (se i contagi sono di più di quelli riscontrati, lo stesso vale per quanti hanno sviluppato una immunità naturale) e comincia a crescere la percentuale della popolazione vaccinata. È meno chiaro se l'ultimo giro di vite del governo, quello che ha portato buona parte del Paese in zona rossa, sia servito a granché: le restrizioni erano già state inasprite a fine febbraio e con tutta probabilità l'ultimo Dpcm è arrivato quando già la curva dei contagi aveva cominciato a flettere.

Se guardiamo al resto del mondo, la straordinaria riduzione della letalità in quei Paesi nei quali si è proceduto di gran lena con le vaccinazioni ci indica la strada da prendere. Ma anche, se e quando aumenteremo finalmente il ritmo delle vaccinazioni, che dovremo avere ben chiare quali siano le nostre priorità. Qualcuno parla di “No Covid”, immaginando il completo eradicamento del virus. Altri suggeriscono l'obiettivo di portare la letalità del Covid a livello di quella dell'influenza stagionale. Non è neppure chiaro quale sia la strategia scelta per le vaccinazioni.

D a principio sembrava si volessero privilegiare le categorie più fragili. Se l'avessimo fatto, probabilmente osserveremmo meno decessi quotidiani. A un certo punto, complice il fatto che il vaccino AstraZeneca da principio non è stato raccomandato per i più anziani, abbiamo cominciato a vaccinare per categorie. L'idea, di per sé, sarebbe pure difendibile: cerchiamo di vaccinare i lavoratori e i professionisti di alcuni comparti perché non ci vogliamo rinunciare e desideriamo riaprirli, permanentemente, quanto prima. È il principio per cui abbiamo vaccinato gli operatori sanitari: volevamo preservarne la salute ma anche tutelare la capacità di cura del nostro servizio sanitario. Poi abbiamo vaccinato insegnanti e docenti universitari. Non risulta però che ci sia un piano per tornare alla didattica in presenza, man mano che cresce il numero degli immuni.

Se avessimo degli obiettivi chiari, forse potrebbero venirne scelte altrettanto chiare e comprensibili per l'opinione pubblica. Il nuovo governo, da questo punto di vista, non ha ancora svelato quale sia il proprio pensiero. L'insoddisfazione per le dinamiche di gestione dell'emergenza è palese, dal momento che si è deciso di cambiare le figure che se ne sono occupate: il commissario per l'emergenza, quello per il piano vaccinale, il Comitato tecnico scientifico che accompagna le deliberazioni dell'esecutivo. Ma quale alternativa si ha in mente?

Sul tema aperture e chiusure, l'impressione è che interessi soprattutto lo sviluppo di un approccio più concertato con gli altri grandi Paesi Ue: Francia e Germania. Da principio, la signora Merkel era parsa il più lucido dei leader europei, nel venire alle prese con il Covid-19. La sanità tedesca era stata aiutata dalla maggiore disponibilità di posti letto in terapia intensiva e sembrava meglio attrezzata a tamponare il problema. Un anno dopo quel giudizio va in parte rivisto. La campagna vaccinale dei tedeschi non funziona granché meglio della nostra e, benché abbiano avuto, nel complesso della pandemia, meno morti, non hanno estratto dal cilindro soluzioni gestionali particolarmente brillanti.

È un po' il contrario dell'Inghilterra. La performance della sanità inglese è stata pessima e le chiusure, quest'inverno, draconiane e puntellate di misure che fanno a pugni con lo Stato di diritto (da ultimo, la multa di 5000 sterline per chi si reca all'estero) ma i britannici stanno vaccinando a grande velocità.

Non è facile trovare, nel mondo, esempi particolarmente brillanti. La tanto decantata efficienza di un Paese come la Cina coincide in realtà con un totale spregio della libertà dei cittadini: per quanto la libertà dei singoli sia in fondo alla lista delle priorità dei governi anche in Europa, non abbiamo del tutto messo in soffitta le nostre Costituzioni. Bisognerebbe però almeno decidere che cosa fare. Darsi obiettivi chiari e sulla base di quelli organizzarsi, sapendo che il virus non scomparirà e che dobbiamo imparare a conviverci, trasformarlo in una delle tante patologie con cui, purtroppo, dobbiamo fare i conti.

L'Italia ha un premier che nel corso della sua vita professionale ha dovuto prendere molte decisioni importanti e ha saputo farlo con sicurezza. Se non ora, quando?

ALBERTO MINGARDI

DIRETTORE DELL'ISTITUTO

“BRUNO LEONI”
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