Q uella di Enrico Letta a segretario del Pd è l'elezione meno contrastata della storia del partito. Una volta, nemmeno troppo tempo fa, la nomina del capo del più grande partito della sinistra italiana sarebbe stato un evento mediatico. Ma il Pd, che è ancora numericamente un grande partito, non rappresenta più quella sinistra di popolo costruita dal Pci e via via persa coi cambi di nome e indirizzo, all'ombra di querce e ulivi e con leader sempre meno combattivi sugli ideali ma più determinati a conquistare potere. Il Pd attuale ha preso in tutto il posto della vecchia Dc della quale ha accolto negli anni molti esponenti e anche la linea politica con un passaggio che non gli ha giovato in termini di consenso. Dopo Berlinguer e dalla svolta di Occhetto in poi, è stato un susseguirsi di reggenti. Politici anche importanti come D'Alema, Bersani, Veltroni, Franceschini, gli stessi Renzi e Zingaretti hanno solo gestito le forzature di correnti interne sempre più prepotenti e avide di poltrone. Così il destino della sinistra è stato quello di un trentennio di scissioni e rifondazioni, di addii e riconciliazioni. Ora si ricomincia da Letta, pescato col cappello di Zingaretti e ancora offeso dal trattamento di Renzi che lo spodestò dalla poltrona di presidente del Consiglio. Ha nelle vene il sangue sardo della mamma di Porto Torres. Speriamo che ne abbia anche un pochino di quello di Berlinguer.

BEPI ANZIANI
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