C ome ha spiegato Luca Telese su questo giornale, l'arrivo del governo Draghi con dentro la Lega di Matteo Salvini è stato il detonatore che ha terremotato i principali partiti del secondo Governo Conte, Pd e 5Stelle, facendo emergere le loro contraddizioni interne.

Nel caso dei 5S la spaccatura è stata plateale, con la ribellione pubblica dell'ala movimentista e la conseguente espulsione dei ribelli dal Movimento controllato da Beppe Grillo e Vito Crimi. Nel Pd l'effetto non è stato meno traumatico, con le dimissioni polemiche del segretario Nicola Zingaretti, che ha dichiarato di «vergognarsi» del suo stesso partito. La causa scatenante del terremoto politico interno al Pd è stato un sondaggio del Tg La7 che dava conto del possibile exploit di un M5S a guida Conte, con voti sottratti soprattutto al Pd.

Il perché di questo big-bang dei due partiti della sinistra, ma di riflesso anche della Lega di Matteo Salvini, lo spiega Antonio Polito sul Corriere della Sera, ponendo in evidenza come i primi abbiano vissuto per anni di rendita: il Pd cercando voti come baluardo contro le destre, i 5S come baluardo contro il passato, mentre la Lega come baluardo contro l'Europa. Ora che stanno tutti insieme, conclude Polito, «insieme al passato e insieme all'Europa, sono tutti costretti ad alzare l'asticella del loro far politica: devono impegnarsi sul terreno concreto dei contenuti».

Innanzitutto dovranno fare i conti con i finanziamenti europei del Recovery fund che non arriveranno prima dell'autunno.

F inanziamenti che saranno anche leggermente inferiori al previsto, alla luce dei calcoli aggiornati sulla base del regolamento Ue emanato a febbraio.

Il ministro dell'Economia, Daniele Franco, in audizione in Parlamento, ha chiarito che in tutto, fino al 2026, arriveranno all'Italia non più 196 miliardi, ma 191,5. Il taglio di 4,5 miliardi peserà sulla parte prestiti, che scenderà da 127 a 122,5 miliardi. Nell'immediato, le prime risorse che arriveranno saranno pari al 13% del totale, quindi a circa 25 miliardi.

Messe da parte le beghe della politica e dei partiti, Franco ha spiegato che il governo sta lavorando a partire dalla bozza di Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) approvata il 12 gennaio dal governo Conte. Un piano, ha detto, che costituisce «una solida base di partenza», ma che andrà rafforzato negli obiettivi strategici e nelle riforme che ne assicurino l'effettiva realizzazione.

Manca ancora il capitolo della governance, che il ministro prevede robusta e in capo allo stesso dicastero dell'Economia, che si dovrà coordinare con le amministrazioni di settore cui competono le scelte sui singoli progetti e con le autonomie territoriali. A questo riguardo, abbiamo alle spalle l'esperienza della deludente performance sui fondi strutturali europei per il 2014-2020, che avrebbero dovuto attivare interventi per 73 miliardi di euro, ma a fine 2020 erano stati impegnati appena 50 miliardi e spesi soltanto 34.

Perciò, l'Ue erogherà i soldi del Recovery solo dopo aver verificato che l'attuazione dei progetti indicati nel piano proceda secondo il crono programma previsto dallo stesso piano. Ci vuole quindi un cambio di passo, che implica l'avvio di alcune riforme (pubblica amministrazione e giustizia innanzitutto), ma anche un deciso rafforzamento delle strutture tecniche ed operative.

Inoltre, dovranno cambiare anche le modalità di assunzione di queste figure, che oggi sono troppo lente. Al Tesoro, ha detto Franco, «ci sono già 50 dirigenti e funzionari che a tempo pieno si dedicano al piano», invitando anche gli altri ministri a dotarsi di strutture simili in tempi rapidi. Il ministro ha ricordato che altre riforme, come quella del fisco, non sono materia del Pnrr, che è dedicato principalmente al rafforzamento delle infrastrutture materiali e immateriali del Paese.

Il Piano avrà importanti riflessi sulla crescita: ci si aspetta circa 3 punti annui in più di Pil e anche oltre dopo l'effetto delle riforme. Non è poco, conclude il ministro, perché si tratterebbe di un aumento stabile. La riforma del fisco invece, che resta anch'essa prioritaria, sarà affrontata in altra sede, a partire dalla legge di Bilancio.

BENIAMINO MORO

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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