N on è tempo per i giovani, e non solo in Italia. Nel Bel Paese chi non ha diritto di voto e di veto non conta niente. Non incidono le proteste di chi siede davanti al computer, privato del compagno di banco, di ammiccanti complicità e delle opportunità che solo la cultura dialogante può offrire.

È colpa della pandemia, si recita in coro, nell'autoassoluzione collettiva da mancanze e deficit che è bene nascondere, novella polvere sotto il tappeto. La scuola viene all'ultimo posto, eppure, secondo recenti rilevazioni Ocse, un terzo dell'anno scolastico perso può comportare un calo del Pil dell'1,5% fino alla fine del secolo. Miopia della politica, ma maiora premunt.

La pandemia, certo! Solo, ha accentuato ciò che si sa da tempo: che i giovani devono lasciare spazio alle ragioni altrui, dei vecchi, ricchi o potenti che siano, mentre tacciono i loro sogni e aspirazioni. Succede qui come in Europa, eccezioni a parte. Ma succede anche in Turchia dove il rettore Melih Bulu dell'Università del Bosforo di Istanbul, una delle più prestigiose, viene inutilmente contestato dagli studenti in turbolente sommosse e, insieme a lui, chi conduce il timone del paese. Succede a Hong Kong che si avvia alla normalizzazione voluta dal governo cinese a scapito delle masse di giovani, sulle piazze prima e nelle prigioni poi, a invocare nuove strade oltre il margine asfissiante della dittatura. Nel desiderio dell'illimite e delle ideali proiezioni che, solo, possono comporsi in una calviniana città invisibile.

U na patria di sempreverdi Apollo e Diana e dell'eterna energia di Eros, all'ombra di garzoncelli scherzosi, nell'attesa, frustrata, “di età fiorite”, di “giorni d'allegrezza pieni, giorni chiari, sereni” che precorrono alla festa della loro vita. Non godono, oggi, i fanciulli, come si augura il Poeta, non è il loro, nel nostro tempo, come sarebbe giusto credere, “stato soave, stagion lieta”. E il Myanmar? è ancora davanti ai nostri occhi il tappeto di capelli rossi a falde corte delle tante fanciulle in fiore, inginocchiate in file ordinate, tali che la penna di Carlo Levi avrebbe potuto rappresentarle come uno stormo quieto prima della tempesta, della repressione violenta.

La gioventù non è più un valore, a meno che non sia merce di scambio per party sesso e droga, come insegnano le cronache più recenti. A meno che non sia scatto e agilità da opporre al nemico nei teatri di guerra o nelle missioni di pace, a meno che non sia ombra benefica dentro le associazioni umanitarie o medaglie da esibire nello sport. Abbandonati dalle istituzioni, Giulio Regeni e Patrick Zaki insegnano che, prima di tutto, ci sono le ragioni economiche, i rapporti commerciali e politici fra gli Stati, quindi, in fondo alla scala, la tutela dei diritti delle persone, soprattutto se giovani, prive di padrini e padroni, la voce afona, le grida mute se nessuno le raccoglie. Solo Papa Francesco col suo sguardo penetrante, prima dell'incontro con l'ayatollah Alì al Sistani, nel suo viaggio alla ricerca delle radici, ha invocato la loro presenza sulla scena del mondo, in vetta, loro, bene prezioso finalmente! non per scambi mercenari, ma per la costruzione del futuro. L'unico possibile. A cui restituire conoscenze e competenze, offrire armature alla disarmante fragilità e bussole per sopravvivere in un mondo da cui la politica stessa li ha allontanati, perché il potere si rigenera ma non si cede. Se domani mancheranno all'appello, sprovvisti del necessario per la sopravvivenza, tutto, anche l'economia, anche la finanza, sarà parola vuota.

ANGELA GUISO

CRITICA LETTERARIA
© Riproduzione riservata