V entuno giugno, libertà. Che la vita torni a Londra dopo un lungo esilio ottenebrante. Trionfante. In piena estate, quando le giornate saranno una gloria di luce e temperature afose. Con i festival musicali, all'aperto, già programmati nei parchi sconfinati. Sarà un autentico tripudio. C'è da scommetterci. Gli inglesi non amano il mezzo gaudio. Se il mal comune era stare chiusi e aspettare fiduciosi la battaglia dei vaccini, vinta la sfida, riprende la vita qual era. Come il dopoguerra.

Forse si celebrerà addirittura la data augurale, alla maniera inglese. Riversi sulle strade per rivivere la cara vita londinese; con quelle pretese un poco chic da metropoli impegnata a concretizzare il sogno occidentale di una società totale. In cui l'essere umano realizzato nelle sue potenzialità intrinseche, possa trovare il modo di vivere una vita all'altezza delle intime attese. Un lusso, ormai, altrove, dove i diritti essenziali fino agli anni scorsi indiscutibili, appaiono come i premi a una vita da delatori reclusi, liberati a tappe forzate.

La vibrazione a Londra è nell'aria. Le strade cominciano a pullulare, seppure cautamente. I parchi rivivono i fasti della normalità con piccole adunate di famigliole stese sui prati verdissimi. Le attività costrette alla chiusura forzata danno una rinfrescata agli arredi dopo mesi d'inattività totale. È una città che rinasce appresso alla clamorosa escalation dei vaccini. Ben ventuno milioni di motivi per guardare con ottimismo al futuro imminente.

M a non è questa la storia. I dati oramai parlano da soli. Riguarda piuttosto la vita stessa, la libertà, la possibilità di riprende in mano i propri sogni, per i quali vi invito a giurare di non averne ancora qualcuno dopo questi mesi assurdi.

«Vediamoci per un caffè a Oxford Street»: cominciano così gli incontri con la mia talpa londinese che mi aggiorna sulle date delle riaperture con la precisione di un ministro. Invece si tratta di un seulese, Andrea Locci. Un sardo dalle cui mani dipende la giornata di milioni di clienti. È un responsabile nel settore della caffetteria. Che a Londra è quasi come essere un ufficiale d'ambasciata. Dal castello di Windsor al più frequentato caffè del centro. Non c'è macchina che funzioni senza la sua supervisione. Ed è uno spasso camminare per le strade trafficate e vederlo salutare decine di sconosciuti durante i suoi giri di lavoro. Per me le sue parole sono oro. E giura: «Dal primo maggio si riprende a tutta».

La ripartenza vera. Quella che spazzerà gli indugi e vedrà i camerieri ai tavoli, le file di passanti, i tanto attesi turisti. Ci fu un episodio che mi sorprese all'inizio della pandemia. Londra non fu costretta al blocco definitivo fino a quando le grandi catene di caffetterie, per ultime, tennero aperti i locali. Interrotto il servizio, è subentrato il buio. Il che racconta la potenza di un indotto dai volumi stratosferici che raggiunge i distretti periferici senza soluzione. Un ganglio della metropoli che funziona come il cuore pulsante di un gigante. Il primo maggio alzeranno le serrande e tutto sarà come allora. Un'immensa caffettiera fumante che riprenderà a spandere i suoi traffici tessendo e intessendo trame col mondo intero. Con una grande assenza. I sardi rimpatriati. E qui si scriverà un'altra storia che, si spera, non sarà l'ennesimo episodio nella saga delle occasioni perse.

Londra deve molto alla Sardegna e ai sardi. Almeno quanto migliaia di conterranei saranno riconoscenti delle possibilità avute durante le ripetute traversate nel corso dell'ultimo ventennio. Questo è luogo di eccellenze. Che cito per quella cronaca che fa dei sardi autentici baluardi di capacità imprenditoriali. Mauro Sanna (proprietario dei ristoranti Olivo, un vero e proprio pezzo di Sardegna trapiantato a Belgravia) e Salvatore Broccu (manager dell'esclusivissimo Novikov) sono due protagonisti inarrivabili nella scena internazionale ormai radicati nella capitale britannica.

Che cosa sarà di questa vicenda? A Londra acclamano già un evento. Il 17 giugno si terrà l'incontro di calcio contro i cugini della Scozia, a Wembley. Giusto in tempo per la fine definitiva del lockdown. Un calcio alla pandemia. Un gol per la vita. Una sfida per il momento vinta che ci si augura di non dover disputare ancora. “God save the Queen” canteranno. E sarà come esserci salvati tutti.

ANDREA MEREU

OPERATORE CULTURALE A LONDRA
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