I ndragarsi è parola non consueta nel linguaggio corrente. Eppure è antica quanto la lingua italiana. La si trova in pagine letterarie già nel tredicesimo secolo. Lo stesso Dante ne fa uso due volte nella Divina Commedia. È un verbo che continua a comparire, seppure con parsimonia, anche in seguito nelle opere dei nostri maggiori scrittori: dalla prosa di Guerrazzi alla poesia di Carducci. Oggi potrebbe diventare un neologismo politico. Nessun altro vocabolo infatti può spiegare meglio ciò che è accaduto nelle tre scorse settimane in Parlamento. Quando Mattarella ha conferito a Mario Draghi l'incarico di formare un governo, la giostra dei pupi si è fermata. L'incantesimo è durato ventiquattro ore, durante le quali ognuno ha fatto rapidamente i propri conti: aggrapparsi alle ideologie, ai principi, alla coerenza e rifiutarsi di sottomettersi al console romano oppure accettarlo rinnegando il proprio passato, le alleanze e i giuramenti. Per molti era una scelta non di vita ma di sopravvivenza: bere la pozione del Quirinale o affogare nelle urne elettorali. È stato uno spettacolo da circo vedere Grillo, Zingaretti, Speranza, Salvini e i loro cuccioli ammansirsi di fronte al domatore. Tutti in fila sono entrati nel nuovo sistema e si sono “risistemati”. Dopo essersi convenientemente indragati.

TACITUS
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