E ntro aprile l'Italia dovrà inviare a Bruxelles il Recovery plan, perciò Draghi dovrà accelerare sulla sua stesura definitiva. Il ritardo non riguarda la selezione dei progetti, già numerosi, ma il completamento per ciascuna iniziativa scelta di un'analisi costi-benefici, che costituisce una parte essenziale di qualsiasi progetto d'investimento pubblico.

Si tratta di dimostrare sul piano economico che il saggio di rendimento di ciascun progetto (la redditività annuale media attesa per ogni 100 euro investiti) deve essere maggiore del costo annuo di finanziamento, che a sua volta è rappresentato dal tasso d'interesse pagato sui Btp decennali. Al ministero dell'Economia esistono le professionalità per fare questi calcoli, perciò il lavoro può essere completato senza accumulare ulteriori ritardi.

Il discorso diventa più articolato in merito alle riforme che devono accompagnare il Recovery. Ma anche su questo aspetto non ci dovrebbero essere grossi problemi ad accelerare il completamento del piano. Nel governo Draghi, infatti, ci sono Roberto Cingolani, Vittorio Colao ed Enrico Giovannini, che in pochi mesi misero a punto il “piano Colao” commissionato e poi accantonato dal governo Conte. In quel piano ci sono proposte che a Bruxelles andrebbero più che bene, come la semplificazione drastica del codice degli appalti e un regime speciale per le iniziative di carattere strategico, con l'estensione delle nuove procedure a salute, ambiente, paesaggio e territorio.

L 'economia green diventa centrale. La transizione energetica è uno dei perni del piano. Il governo sarà marcatamente ambientalista. Draghi ha lasciato intendere in modo esplicito che tutte le politiche dell'esecutivo calcoleranno l'impatto su economia circolare, riduzione delle emissioni e sostenibilità ecologica nel lungo periodo.

Il nuovo ministro Roberto Cingolani, a sua volta, dovrà impostare la spesa di almeno 77 miliardi di euro, il 37% del piano italiano. Il suo nuovo ministero, imperniato sulle competenze dell'Ambiente, acquisirà deleghe dal Mise e forse anche dai Trasporti.

Col neo ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini e con Vittorio Colao, che si dovrà occupare della transizione digitale, Cingolani dovrà impostare una strategia di lungo periodo di crescita sostenibile. Insieme, i tre ministri avranno competenze su quasi il 90% dei fondi del Recovery plan italiano.

Un maxi progetto che andrà elaborato nelle prossime 4-6 settimane, prima di essere inviato alla Commissione Ue insieme al modello di governance e a un crono-programma.

La transizione digitale sarà un altro dei pilastri del piano. Il neo ministro Vittorio Colao avrà voce in capitolo sul 20% delle risorse del Recovery, dunque su almeno 40 miliardi di euro. Su queste risorse avrà un decisivo potere di indirizzo, pur gestendo un ministero senza portafoglio, ma è possibile che si arrivi ad una quota di gran lunga maggiore visto che la digitalizzazione e l'innovazione tecnologica saranno trasversali alle competenze di molti ministeri, dai Beni culturali alla Sanità, fino al Turismo.

Nei piani di Colao sono centrali il completamento della rete a banda larga, complementare con l'infrastruttura mobile del 5G: un doppio binario che dovrebbe portare anche a modernizzare la Pubblica amministrazione, altra riforma chiave del governo Draghi, in testa alle richieste della Commissione Ue insieme alla riforma della giustizia civile. Nei piani di Colao, infine, ci sono anche la digitalizzazione degli istituti scolastici e il cablaggio di tutte le aree del Paese.

Infine, c'è il tema più delicato della finanza pubblica, che impone al governo di tornare, anche se non subito, a un avanzo annuale di bilancio stabile intorno all'1,5% del prodotto lordo, al netto degli interessi pagati sul debito.

Perciò, a regime dovranno essere eliminate tutte le spese straordinarie, il che significa che nessuna nuova spesa varata per contrastare la pandemia dovrà durare per sempre, ma dovrà essere limitata nel tempo, altrimenti sarebbe a rischio la tenuta dei conti pubblici.

BENIAMINO MORO

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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