O ttenuta la terza, diversa maggioranza, nella stessa legislatura, Mario Draghi si avvia a formare il nuovo Governo, stretto tra gli equilibri della politica e le cose da fare. Ma quale sarà il programma? In cosa potrà distinguersi questa esperienza dalla precedente? Sono tanti gli argomenti sul tappeto: pandemia, vaccini, recovery fund. E ne parlano tutti, intonando la stessa nenia.

Meglio quindi puntare su una fondamentale questione che le assorbe tutte: la questione liberale. In questo Paese è stato infatti sovvertito, negli ultimi anni, quel paradigma che già dal tardo 1600 (con alcuni, noti intervalli) aveva assicurato un rapporto possibile tra individuo e potere. Ed è stato sostituito da un groviglio di proclami, promesse elettorali, frasi retoriche che, nella totale vacuità della politica, ha consentito alle burocrazie pubbliche di estendere a dismisura la loro sfera di influenza occupando, per via diretta o indiretta, tutti i posti di comando.

Veicolo principale è stata l'attività normativa, primaria e secondaria, con la quale si sono costituiti nuovi enti, uffici, e con la quale si è disciplinato ogni aspetto della vita economica e sociale del Paese. Così estendendo la sfera di ingerenza dello Stato (con tutte le sue articolazioni) e comprimendo le libertà degli individui. Questo processo ha trovato sponda anche nella normazione europea che, avendo come propulsore la Commissione (cioè l'apparato amministrativo), ha prodotto una montante marea (così la chiamano gli inglesi) di normazione provvedimentale.

U na marea destinata purtroppo a regolare ogni dettaglio. Ovviamente la tracimazione pubblica ha trovato astuti profittatori in quei comparti che l'hanno usata per soddisfare esigenze proprie.

E l'affaire Palamara, tra gli altri, ne è la riprova. Il tutto sospinto dalla grancassa del populismo urlante che, sulle note di “pubblico è bello”, praticava assistenzialismo, giustizialismo, nazionalizzazioni. E imponeva che il “Piano di ripresa e resilienza” (in seno al Recovery fund) destinasse il 70% degli investimenti al sistema pubblico, come se di quello privato potessimo farne a meno.

Reddito di cittadinanza e prescrizione, hanno ribadito i pentastellati a Draghi, come ultimo vagito della loro visione del Paese, dopo aver portato la produzione regolatoria oltre ogni immaginazione, con i DPCM che scandivano giorni e settimane, come i rintocchi dell'orologio.

Non si è capito invece che ad ogni provvedimento pubblico corrisponde ineluttabilmente una compressione delle libertà. E quando son venute meno le restrizioni si è plaudito alle aperture, senza pensare che accordare libertà è pure peggio. Esse sono diritti naturali, non necessitano di autorizzazioni.

Torniamo dunque al nuovo Governo e proviamo a formulare due proposte. Prioritario chiudere i conti col passato, utilizzando la pandemia come spartiacque, e definire a saldo e stralcio tutte le pregresse pendenze amministrative, fiscali, giudiziarie (almeno quelle meno gravi), come si fa dopo una guerra.

Guardare poi al futuro riducendo e semplificando la funzione pubblica, mantenendo la coesione sociale e assicurando un corretto rapporto tra individuo e Stato.

Tutto il resto ne deriva. Senza un rinnovato approccio, socialista e liberale, la ripresa è solo una pia illusione.

ALDO BERLINGUER

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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