L a decadenza culturale ed il vuoto, di idee e di proposte, degli attuali nostri partiti, con la loro trasformazione in agenzie lobbistiche ed elettorali, paiono essere la causa prima del declino della politica da attenta disegnatrice della società futura in ferrea detentrice di un potere fine a se stesso o, come spesso capita di constatare anche in questi giorni di crisi di governo, protagonista di uno squallido teatrino dei pupi e di accese dispute da lavandaie.

A questo severo giudizio di Sabino Cassese può essere utile rifarsi per commentare anche quanto va accadendo nella scena politica sarda, ad iniziare dal Consiglio Regionale dove sembra essere in atto più che altro una sterile competitività fra sponde opposte e cambi di casacca. Aspetti tutti chiaramente negativi che si evidenziano nelle lentezze, nelle indecisioni e nelle insufficienze con cui si governa attualmente la Sardegna. Eppure il mandato consegnato dagli elettori avrebbe richiesto ben altra qualità e impegni, e la stessa congiuntura negativa per via della pandemia virale ne avrebbe dovuto potenziare le decisioni operative.

Appare quindi necessario cambiare registro, nella speranza che ci sia il tempo per poter evitare il pericolo di una pesante recessione economica. Perché, come ammonivano i nostri padri latini, ormai “maiora premunt”, per cui appare prioritario l'impegno di dover affrontare con decisione i problemi di ricostruzione posti dalla pandemia.

P er meglio intendere, occorrerebbe liberarsi dalle ambizioni e dagli interessi di potere, personali o di campanile, che oggi monopolizzano il lavoro di un personale partitico in gran parte impreparato e disattento per indirizzare ogni scelta ed ogni risorsa disponibile al tracciamento di un percorso utile per ritrovare e realizzare un futuro di crescita e sviluppo.

Ora, per quel che insegna la storia e, con essa, l'esperienza economica, alle crisi occorre rispondere innanzitutto con l'adozione di misure eccezionali e con l'avvio di programmi straordinari. La moltiplicazione dei lavori pubblici ne è sempre stata la matrice principale, e la Sardegna non dovrebbe sottrarsene. D'altra parte le carenze nella nostra rete stradale e la gravità del dissesto idrogeologico unitamente al disordine delle acque torrentizie imporrebbero il varo di un vasto programma di interventi risanatori su cui concentrare gran parte degli investimenti, compresi quelli derivanti dagli aiuti europei.

Si deve essere consapevoli, per esperienze ormai consolidate, che per ogni milione di euro investito in lavori pubblici ne derivino ben oltre due in benefici sociali, attraverso l'incremento a cascata di attività e consumi. Lo è stato, ricordiamolo, negli anni d'oro della Cassa per il Mezzogiorno, così come era accaduto negli Usa con i programmi rooseveltiani del New Deal. Precisando che quelle due esperienze furono anche accompagnate e sostenute da un'ampia autonomia decisionale per renderle rapide ed efficaci.

Nel nostro caso si potrebbe pensare, ad esempio, ad un programma straordinario di investimenti (stimabili sul miliardo di euro) da affidare ad uno strumento attuativo che operi in similitudine con quanto utilizzato a Genova per ricostruire il ponte Morandi. Attribuendogli quindi la capacità di operare senza troppi vincoli sia sul piano della progettazione delle opere (con la stesura di piani d'intervento per i settori interessati) che su quello degli affidamenti per la loro realizzazione.

Non si può continuare a parlare, nei palazzi della politica (e non solo), della generica volontà di varare un piano di ripresa e di sviluppo, senza peraltro chiarirne contenuti ed aspetti operativi. Con quanto proposto si intenderebbe sollecitare il Presidente Solinas perché voglia chiarire dettagliatamente ai suoi corregionali verso quali obiettivi e con quali strumentazioni e risorse la sua Giunta intende avviare ed indirizzare l'attesa ripresa.

PAOLO FADDA

STORICO E SCRITTORE
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