A vanti con il governo giallorosso, più anemico per l'emorragia renziana, salvato dal Var di Palazzo Madama all'ultimo secondo e col sì di due carneadi, eppure ancora in piedi dopo la prova al Senato. Sono 156 i voti favorevoli, 5 in meno della maggioranza assoluta: difficile dire se basteranno al premier per evitare le forche caudine del Quirinale e tirare a campare.

L'appello ai “responsabili” (divenuti poi costruttori e infine volontari, appellativi diversi per l'identica sostanza) è stato raccolto. Non c'erano soverchi dubbi. All'occorrenza il trasformismo è sempre in auge nelle nostre aule parlamentari, non l'ha inventato l“avvocato del popolo”. Il soccorso è perciò arrivato, vedremo nei prossimi giorni quanto sarà costato in termini di poltrone. Ma ieri la crisi aperta dal Rottamatore fiorentino è stata momentaneamente arginata. Un punto a favore di Conte, senza ombra di dubbio, una mezza sconfitta per Renzi. E qualcuno ipotizza possa anche essere quella definitiva.

E adesso? Ora si apre una fase molto complicata. L'obiettivo del presidente del Consiglio di rendere irrilevante Italia Viva non appare a portata di mano. Nella strategia di Conte, infatti, il traguardo massimo, era quello di incassare un gap tra i sì alla fiducia e i voti dell'opposizione superiore alle 18 unità, ovvero al numero di senatori renziani. Non è accaduto. Dal canto suo l'ex sindaco di Firenze, a dispetto del duro attacco sferrato anche al Senato, ha scelto l'astensione, cioè di tenere la porta socchiusa.

P er coerenza avrebbe dovuto votare contro. Se non l'ha fatto è perché spera di rientrare in ballo con lo stesso governo ma con un premier diverso. Prospettiva al momento puramente teorica.

È un futuro incerto, che preoccupa il Quirinale, capiremo nelle prossime ore l'atteggiamento di Mattarella, peraltro già sollecitato ad un chiarimento dall'opposizione di centrodestra. L'unico dato evidente è che da ieri il Conte bis è un'anatra zoppa. Non è la prima volta che un governo si trova senza la maggioranza assoluta in una delle due Camere ma probabilmente mai in un una contingenza così drammatica per il Paese. Il premier dovrà cercare di puntellare una maggioranza traballante e logora già prima dello strappo di Renzi con le stampelle dei voti in libera uscita dall'area centrista, in primo luogo di Forza Italia. Operazione complessa, tutta da costruire nel suk del Transatlantico, e non è detto che riceva il placet dal presidente della Repubblica.

Sono stati giorni convulsi, di dibattito acceso, sfociati in un risultato che non soddisfa pienamente nessuno. Quel «governo forte» reclamato anche ieri dal premier non c'è. Lo ha detto in termini rudi Matteo Renzi, puntando il dito sul record europeo dei morti per Covid, sull'economia al tracollo, il mancato utilizzo dei miliardi del Mes. Ma dimenticando che anche lui, fino all'altro giorno, di quel governo faceva parte.

Ha colpito quell'«aiutateci» pronunciato più volte da Conte in Aula. È lo stesso appello che silenziosamente, in maniera davvero più tragica, e spesso inascoltati, milioni di italiani lanciano da dieci mesi. Cittadini senza più reddito, in strenua lotta per salvare le proprie famiglie, disorientati dalle norme confuse e contraddittorie emanate una settimana dopo l'altra, spaventati dalla lentezza con la quale procede la campagna di vaccinazione. Difficile pensare che la maggior parte di essi si sentano particolarmente rinfrancati dall'esito di questa crisi. Il Covid non può essere uan scusa in eterno, il coperchio per tutto ciò che non funziona in questo Paese.

Incassata la fiducia in zona Cesarini, il governo deve adesso dimostrare di meritarla. Il tempo delle manfrine è scaduto, è ora di realizzare qualcosa di solido per il futuro, a partire da un attento impiego dei miliardi europei. Altrimenti saremo costretti a scoprire che è stato costruito soltanto un castello di sabbia, destinato ad essere spazzato via dalla prima mareggiata.

MASSIMO CRIVELLI
© Riproduzione riservata