A prire una crisi mentre l'Italia è immersa in una pandemia drammatica viene percepito come un gesto distruttivo. Non lo pensa solo Massimo Franco del Corsera, che all'argomento ha dedicato il suo editoriale, ma è anche l'opinione di molti cittadini comuni che da mercoledì assistono preoccupati al caos politico.

Tuttavia, è innegabile che Matteo Renzi si sia ripreso il palcoscenico, mettendosi ancora una volta al centro della politica italiana. Ma al di là del proscenio, cosa vuole davvero Matteo Renzi? Non è facile capirlo. Nella sua conferenza stampa ne ha fatto una questione più di forma che di sostanza: «La democrazia ha delle forme e se le forme non vengono rispettate, allora qualcuno deve avere il coraggio anche per gli altri per dire che il Re è nudo. Non consentiremo a nessuno di avere pieni poteri. Questo significa che l'abitudine di governare con i decreti legge che si trasformano in altri decreti legge e l'utilizzo dei messaggi a reti unificate rappresentano per noi un vulnus alle regole del gioco. Chiediamo di rispettare le regole democratiche».

Renzi ci ha abituati alla spregiudicatezza dell'incallito giocatore di poker, come fece al referendum costituzionale che perse platealmente. Nei giorni scorsi aveva cercato di preparare il terreno dello scontro: «Per me non esiste nessuna crisi pilotata, nessun Conte ter, io posso anche votare il Recovery, ma poi apro una crisi vera». Era già la sentenza preannunciata sull'attuale governo.

E quindi, come riferivano anche i suoi compagni di partito, «fino all'ultimo minuto utile Matteo farà di tutto per cambiare il premier, perché Conte non è all'altezza della fase drammatica e difficile che stiamo vivendo».

La vera partita di Renzi, dunque, non è un cambiamento della linea politica del governo, come aveva sostenuto inizialmente spiegando che Italia viva non voleva poltrone ma solo il miglioramento dei contenuti del programma europeo. In realtà, ciò che davvero vuole Renzi è la testa di Conte, che lui giudica inadeguato a gestire non solo il Recovery fund, ma l'intera attuale fase politica di emergenza causata dalla pandemia di Covid-19 e dalle conseguenze economiche.

Tuttavia, come scrive Franco, «l'impressione è che dovesse rompere, dopo essersi spinto troppo avanti negli attacchi. Per il resto, sostenendo che si muoverà senza pregiudiziali, lascia aperte tutte le strade: perfino quella, almeno in via di principio, di un terzo governo Conte».

Perciò, per la soluzione della crisi, la palla rimbalza nuovamente sul presidente del Consiglio, che deve decidere innanzitutto se ritentare anche con Renzi o senza di lui. «L'appello del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a essere costruttori - secondo Franco -, si è scontrato con un istinto demolitorio e muscolare degno di un bullismo istituzionale. Come minimo, ora si tratterà di ricostruire sulle macerie di una coalizione che finora non è mai riuscita a diventare tale. C'è uno iato evidente tra la volontà dichiarata dal Pd e da settori dei Cinque Stelle a stipulare un patto di legislatura, e una realtà di divisioni quasi tribali nel Movimento e il frammento corsaro di Italia viva».

Nella sostanza, uno dei grimaldelli usati da Renzi per detronizzare Conte è costituito dal Mes sanitario, che i grillini non vogliono per motivi ideologici. In piena pandemia, il ricorso al Mes per finanziare la riforma sanitaria di cui l'opinione pubblica avverte il bisogno è fin troppo popolare.

Conte ha invece difeso il no dei Cinque Stelle, offrendo un argomento sensibile alla dirompente critica di Renzi. Lo sfascio della sanità è sotto gli occhi di tutti, ma il rimedio non dipende dalla fonte di finanziamento della futura riforma (Mes o collocazione di nuovi titoli sul mercato), bensì dalle capacità del governo di fare una buona riforma che funzioni per difendere la salute dei cittadini e non per soddisfare gli appetiti spartitori dei politici locali.

Perciò, Renzi avrebbe avuto più ragione a criticare Conte sul Mes se il suo governo, invece di assecondarle, avesse a suo tempo combattuto le logiche politiche spartitorie della sanità regionale.

BENIAMINO MORO

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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