O ggi riaprono le scuole ma sui banchi siederanno solo gli scolari delle elementari e gli alunni delle medie. Restano ancora a casa i liceali, prigionieri di una situazione che definire caotica è persino eufemistico. Nell'ultima riunione notturna del Consiglio dei ministri, come al solito contrassegnata da accese divisioni, è stato partorito un rinvio di quattro giorni. Cosa possa accadere di talmente significativo in così breve lasso di tempo è difficile capirlo. Nel frattempo le Regioni procedono in ordine sparso: qualcuna ha differito la riapertura al 18 gennaio, altre come la Sardegna (manca solo l'ufficialità) procrastinano la famigerata Dad sino al primo febbraio.

Tante domande restano senza risposte. Cosa è cambiato da settembre ad oggi sul fronte dei contagi? Davvero il Governo ritiene che i più piccoli possano tornare in classe in sicurezza mentre gli studenti delle superiori no? Il vero problema è il distanziamento nelle aule oppure il prima e il dopo quando i ragazzi tendono naturalmente ad assembrarsi? Cosa è stato fatto per scaglionare gli orari d'ingresso? Il sistema di trasporto pubblico è stato adeguatamente potenziato in questi ultimi tre mesi?

La sgradevole sensazione è che i nostri figli siano ormai diventati una merce di scambio nel dibattito politico, sballottati fra chi vuole ideologicamente la riapertura della scuola ad ogni costo (come la ministra Azzolina) e chi (come la sottosegretaria alla Sanità, Zampa) si chiede che senso abbia ripartire per poi doversi subito fermare.

S u tutto aleggia anche il fondato sospetto che gli studenti degli istituti superiori siano considerati “sacrificabili”, operazione impossibile con i più piccoli che, rimanendo a casa, costringerebbero molti genitori a non poter lavorare. Ha scritto un giovane rappresentante dei comitati scolastici a livello nazionale: «Abbiamo chiuso le scuole in autunno con praticamente le stesse condizioni epidemiologiche

attuali e oggi ci troviamo alla vigilia di un appuntamento che esiste solo in funzione di dimostrare all'opinione pubblica che l'Italia è pronta e che andrà tutto bene, senza però aver minimamente posto le basi per risolvere gli stessi identici problemi che avevamo a settembre e a dicembre».

Ha perfettamente ragione questo ragazzo. La scuola è diventata la cartina di tornasole dell'inefficienza del governo e di tutta la classe dirigente nella gestione dell'epidemia. Non c'è una strategia complessiva, manca un indirizzo univoco, si procede a tentoni con la speranza di cavarsela in qualche modo. L'unica tattica visibile è quella del prendere tempo e chiudere i cittadini in casa. Si tergiversa nella campagna di vaccinazione, si prende tempo per dar modo all'ineffabile commissario Arcuri di giustificare le proprie manchevolezze con una patetica lettera al Corriere della Sera, si fa melina nel tentativo di dipanare la matassa di una surreale crisi politica che porterà, probabilmente, ad un mini rimpasto, magari con qualche strapuntino in omaggio ai “responsabili” o alla compagine di Renzi. Si passa di decreto in decreto dilapidando le poche risorse a disposizione con inutili bonus a pioggia e perseverando nella distruzione del tessuto economico.

Questa è la realtà e la scuola non può che esserne uno specchio fedele. I ragazzi hanno già perso metà anno scolastico nel 2020, vedranno ulteriormente impoverire il loro bagaglio formativo nel 2021 appena iniziato. Occorrerebbe dare certezza e sicurezza alle famiglie e invece si procede con lockdown a singhiozzo, “semafori” sempre meno comprensibili, si va a letto senza sapere cosa sia lecito fare o non fare il mattino dopo.

È una crisi che investe pesantemente tutta l'Europa - occorre dirlo - ma qui da noi si avverte la sensazione di camminare ancora al buio. Non «è andato tutto bene», come auspicavano gli striscioni appesi fideisticamente sui balconi dieci mesi fa: è andato tutto piuttosto male e prima poi a questi ragazzi che oggi costringiamo a stare chiusi in casa dovremo spiegare perché.

MASSIMO CRIVELLI
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