L a politica italiana, più che a un gioco di squadra, rassomiglia al gioco del poker. Dove ai politici tradizionali si è aggiunto un nuovo giocatore senza partito, Giuseppe Conte, che si sta rivelando non meno scaltro dei primi.

La posta in gioco ha come base di partenza il piatto da 209 miliardi di fondi europei, cui ne vanno aggiunti altri 120 di scostamenti di bilancio già approvati dal Parlamento. Più un'infinità di posti della politica, a cominciare da quelli più prestigiosi di Presidente della Repubblica e di capo del governo, nonché delle tantissime poltrone di enti e aziende pubbliche controllate dalla politica. C'è il precedente del bluff di Salvini, che fingendo di avere un poker d'assi aveva chiamato le elezioni anticipate, con la forte aspettativa di vincerle. Ma gli altri, Renzi in testa, lo hanno costretto a vedere il bluff e per punizione lo hanno relegato nei banchi dell'opposizione. Accantonato Salvini, il gioco è ripreso all'interno della nuova maggioranza giallorossa, che fino a quando non si sono aperti i cordoni della borsa europei si è riconosciuta nella premiership di Conte.

Quest'ultimo ha colto al volo l'occasione offertagli dal programma della Next Generation EU e ha combattuto come un politico scafato al Consiglio europeo per massimizzare i fondi del Recovery plan destinati all'Italia. Proprio perché dietro di sé non aveva il sostegno di un partito personale, il premier ha giustamente scelto di fare la sponda italiana del programma europeo, restando il più fedele possibile ai desiderata di Bruxelles.

P er la gestione del programma, la Commissione Ue chiedeva a tutti i Paesi dell'Unione che venisse costituita una struttura tecnico-politica ad hoc, del tutto nuova e non compromessa con le logiche politiche spartitorie del passato, ma che rispondesse alla stessa Commissione dell'obiettivo di massimizzare gli effetti della spesa aggiuntiva europea sulla crescita.

Per la politica italiana, abituata da tempo immemorabile alla logica spartitoria tra partiti e correnti, il nuovo approccio è risultato dirompente. Renzi si è incaricato, anche perché il ruolo del guastafeste lo sa recitare bene, di fare il Pierino della situazione: invitando il premier a «chiedere scusa» e a ritirare la proposta di una cabina di regia per la gestione dei fondi Ue, come se l'idea fosse stata sua personale e non una esplicita richiesta della Commissione Ue. Altrimenti, ha minacciato il leader di Iv, «ci sono i numeri per eleggere un nuovo esecutivo».

Coi 5Stelle imbambolati e Leu spaesato dal blitz improvviso, il Pd di Zingaretti ha ammiccato a Renzi, condividendo l'accusa a Conte di essere un decisionista poco incline a concordare con gli altri partiti della coalizione le scelte strategiche di gestione del Recovery plan.

Renzi ha avvertito che la situazione potrebbe anche precipitare e ha indicato il 6-7 gennaio come i giorni più probabili in cui le ministre di Iv, Bellanova e Bonetti, potrebbero dimettersi, per dare l'avvio all'apertura formale di una crisi di governo.

Sarà un nuovo bluff come quello di Salvini, che potrebbe finire allo stesso modo? Chi lo sa! Si avranno le idee più chiare dopo la pausa per le feste natalizie. Ciò che pare certo, tuttavia, è che il premier se la dovrà vedere non solo con Renzi, ma anche con un lungo elenco di proposte del Pd che includono il Mes per la sanità, una riforma del fisco progressiva e la legge elettorale proporzionale.

Secondo Franceschini, si potrebbe fare un rimpasto di governo, ma «non cambierebbe nulla, non avremmo la stabilità. Perciò la scelta non è tra un miglioramento della situazione e le elezioni. Ma tra un peggioramento e le elezioni. Quindi, in caso di crisi, sarebbe opportuno prendere la strada più lineare».

Ma, come scrive Verderami sul Corriere della Sera, «la linearità non è una categoria della politica. E i dubbi che Franceschini coltiva sulle reali volontà di Renzi di aprire la crisi sono gli stessi che Renzi coltiva sulle reali volontà di Franceschini di andare alle elezioni».

A Conte resta il compito di risolvere il puzzle e decidere se aprire una crisi al buio in piena pandemia.

BENIAMINO MORO

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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