N atale sì o Natale no? Il Covid, ormai, ogni giorno ci costringe a interrogarci sui nostri valori, sull'opportunità di ogni scelta che un tempo sembrava scontata, su ciò che siamo disposti a sacrificare per il bene supremo della profilassi sanitaria.

«Parigi val bene una messa», gridava Enrico IV, per spiegare che una conversione, sia pure adottata come scelta di opportunità, poteva ben valere un regno. E noi oggi dobbiamo chiederci, oltre l'ossessione sanitaria, quanto vale per noi il Natale. «Gesù bambino può nascere anche due ore dopo», ha detto il ministro Francesco Boccia, che spesso ha il dono della battuta felice, ma di certo non in questo caso. La natalità ha un valore simbolico e sacrale, non può essere slittata per farla coincidere con gli obblighi del coprifuoco. E Gesù bambino potrebbe nascere anche a ferragosto, se si seguisse pedissequamente l'idea di una data più sicura, se la cultura e la religione venissero considerate semplici convenzioni.

Il tema è molto serio, sia per un credente che si dichiara un cattolico impegnato in politica (come Boccia), che per un laico (come chi scrive). Senza apparentemente far nulla, senza avere la piena consapevolezza di scegliere, infatti, abbiamo accettato già molte cose: abbiamo deciso che i ristoratori possono essere le vittime sacrificali, che gli ambulanti devono stare a casa, che i mercati sono pericolosi, che anche l'Universitá può essere sospesa, che le vacanze sono un lusso sfrenato a cui bisogna rinunciare, un vezzo edonista da assecondare con un senso di colpa. (...)

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