I l Centro studi di Confindustria stima che nel 2020 il PIL italiano sarà sceso del 10% e prevede un recupero parziale del 4,8% nel 2021. Il governo immagina una flessione inferiore, del 9%, e un rimbalzo più importante. «Il terzo trimestre sarà molto buono», ha detto il ministro Gualtieri. È un gioco delle parti? Gli interessi organizzati che cercano di mettere le mani sui quattrini del Recovery Fund contro l'esecutivo che prova a diffondere ottimismo?

Purtroppo ciò è vero solo in parte. Sappiamo che dall'inizio della crisi Covid le stime di crescita sono state costantemente riviste al ribasso. La decisione che è stata presa, non solo in Italia, di proteggere il servizio sanitario nazionale “spegnendo” le attività economiche non è priva di conseguenze. Dovremmo avere capito, nei mesi scorsi, che spegnere un'economia è relativamente facile (basta proibire alla gente di scambiarsi tutta una serie di beni e servizi) ma “riaccenderla” è molto più difficile. Inoltre, il timore di ritrovarsi in una situazione paragonabile a quella della primavera sta spingendo le autorità ad alimentare consapevolmente l'ansia della popolazione.

L'incertezza sanitaria è parte dell'incertezza economica. A essa si aggiunge, però, l'azione della politica. Il presidente del Consiglio Conte ha scritto una lunga lettera aperta sul “Riformista Economia” di lunedì. Gli storici del futuro, quando dovranno ricostruire cosa è accaduto in questi mesi, si porranno una domanda.

S i chiederanno come sia possibile che, mentre una crisi pandemica richiede di lavorare sull'efficienza del servizio sanitario nazionale, sulla prevenzione, sui sistemi di tracciamento, il premier italiano potesse «salutare con favore l'avvenuta fusione di Sia e Nexi che, sotto il lungimirante controllo di Cassa Depositi e Prestiti, ha dato vita a un campione europeo dei pagamenti digitali» o l'operazione, cui sempre CDP ha partecipato, su Borsa Italiana.

Primum vivere, deinde nazionalizzare. Si spererebbe che, innanzi a una emergenza drammatica come quella dei mesi scorsi, qualsiasi amministratore sia in grado di mettere in secondo piano la sua ideologia.

Paradossalmente, la cosa migliore che il governo avrebbe potuto fare per l'economia è concentrarsi sulla pandemia. Sussidiare, per esempio, test a tappeto da parte di diverse realtà. Pare di capire che la somministrazione di test di massa sia una sfida alla quale il nostro sistema sanitario nazionale non può reggere. Perché non ampliare il numero dei soggetti abilitati a somministrare i tamponi, includendo - oltre ai medici di famiglia - anche i farmacisti? Perché allora non sussidiare le aziende, aiutandole a testare periodicamente tutti i dipendenti? Perché non fare lo stesso con le università, così che possano verificare lo stato di salute di dipendenti e studenti almeno una volta a settimana? Gli scettici rispondono che un'operazione simile non equivarrebbe a sradicare ogni possibilità di contagio. È vero, ma le ridurrebbe e infonderebbe un po' di sicurezza in ambienti che ne hanno bisogno.

Si legge ora sui giornali che uno dei problemi più grossi, in questa seconda ondata, è separare i positivi anche asintomatici dagli altri, in ambienti a loro destinati. Perché non abbiamo attrezzato strutture ad hoc, e nemmeno fatto accordi con alberghi che potrebbero, temporaneamente, essere destinati allo scopo? Perché abbiamo considerato la scuola un problema risolvibile coi banchi a rotelle, senza rivedere gli insegnamenti somministrati, dando priorità, in condizioni di incertezza così forte, a quelle materie fondamentali (italiano, matematica, inglese) senza le quali gli studenti davvero rischiano di perdere competenze basilari?

Una buona gestione dell'epidemia creerebbe certezza anche nell'economia. Che invece è stata considerata dal governo un po' come un terreno di conquista, sul quale allungare le mani ri-statalizzando imprese improvvidamente sfuggite al controllo pubblico. Questo produrrà crescita? È improbabile. Riducendo lo spazio dell'iniziativa privata, si scoraggiano nuove iniziative e si ostacola la creazione di posti di lavoro. L'inverno del nostro scontento rischia di essere molto lungo.

ALBERTO MINGARDI

DIRETTORE DELL'ISTITUTO

“BRUNO LEONI”
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