A rriva l'autunno, risalgono i contagi. Pensavamo che il virus fosse sconfitto e invece è ancora qui, con nuove sorprese. Così problemi sanitari ed economico-sociali si fondono in una miscela esplosiva, lasciando le classi dirigenti impietrite, disorientate.

Alcuni operatori economici, preoccupati per il futuro, denunciano varie criticità: difficile accesso a crediti e sussidi, ammortizzatori sociali insufficienti e mal orientati (gli assistiti restano a casa piuttosto che reinserirsi), locazioni commerciali al palo e inefficacia dei crediti di imposta, assegni bancari usati a sproposito e relativi protesti, centri storici svuotati, trasporti inadeguati con rischi di contagio, eccetera.

L'elenco sembra non finire mai. Fin quando, storditi dal rumore, ci sorge un dubbio: cosa c'entrano tutte queste criticità col Covid-19? Sono problemi antecedenti o conseguenti l'avvento del virus? La verità è che, tra i tanti mali, la pandemia ha avuto almeno un pregio: offrirci uno specchio e mostrarci i malanni ai quali ci siamo nel tempo assuefatti. E che solo oggi, grazie all'emergenza, torniamo a vedere.

Così, forse, riusciamo a capire che l'impatto nefasto degli accordi di Basilea sulle nostre piccole e micro imprese, non deriva dal Covid, è un problema atavico lasciato irrisolto; che le politiche assistenziali che sedano gli assistiti, piuttosto che rivitalizzarli e reinserirli, non hanno nulla a che fare con la pandemia ma la precedono di molto.

E inoltre che l'utilizzo dell'assegno bancario come forma di garanzia anomala non c'entra nulla col Covid, avviene da anni; che i passeggeri ammassati sui treni regionali (mentre Trenitalia fa profitti) non sono un problema di distanziamento sociale, sono una vergogna di Stato da troppo tempo.

Anche aver piegato i centri storici italiani, negli anni, alla monocultura turistica e alla musealizzazione non è stata una scelta indolore e ce ne avvediamo oggi con la pandemia. Le città, agghindate a festa e private del loro sostrato identitario, delle loro vene produttive locali, degli esercizi commerciali di quartiere hanno infatti assistito all'esodo dei residenti, specie i più anziani, e alla necrosi del tessuto sociale. Sull'altare di un mercato turistico mordi e fuggi, del facile guadagno e del luccichio dei souvenirs si sono così condannati i centri storici alla totale dipendenza turistica, rendendo possibili le immagini che oggi vediamo di Venezia, Roma, Firenze (ma anche Cagliari rientra nei 29 comuni del d.l. agosto), con vie deserte e serrande abbassate. Uno scenario inquietante, certo. Ma the day after o the day before?

Apriamo gli occhi. Dopo il Covid-19, tante altre traversie questo mondo globalizzato e inquinato ci consegnerà nei prossimi anni. E tutte saranno conseguenza del nostro egoismo e dei nostri stili di vita. Si chiameranno cambiamenti climatici, attacchi terroristici, informatici o possibili nuove pandemie, poco importa. L'immagine, nello specchio, non è quella di un virus; è sempre la nostra. Quella di chi (come ha detto il Pontefice) «si è illuso di poter vivere sano in un mondo malato».

Ecco perché, nei convegni, nei dibattiti, sui media continuiamo a ripetere la stessa domanda: cosa fare per combattere il virus? La risposta non la troviamo perché è nascosta nella domanda stessa: il virus siamo noi.

ALDO BERLINGUER

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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