N ei giorni scorsi Mario Draghi è stato tirato per la giacchetta dal governo e dall'opposizione, in modo strumentale, per soddisfare interessi di parte. Come ha scritto il direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, «non mi piace il chiacchiericcio, l'utilizzo del suo nome in giochi di piccolo cabotaggio che servono a mettere in difficoltà il nemico politico di turno piuttosto che a realizzare una prospettiva».

Ha cominciato l'opposizione che, per colpire l'attuale governo e il suo premier, ha tolto fuori il nome di Draghi come possibile nuovo premier che superi l'attuale maggioranza. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sentendosi punto nel vivo, ha ritenuto opportuno di replicare dal podio di Cernobbio, per chiarire che non è per puntare su Mario Draghi che sarà buttato giù il governo. «Non lo vedo come un rivale - ha aggiunto dalla festa del Fatto Quotidiano -. È una persona di valore, un'eccellenza». Poi Conte ha precisato che fu proprio lui a proporre Draghi alla presidenza della Commissione Ue, aggiungendo che però la risposta dell'ex banchiere fu un cortese diniego, «perché era stanco, voleva riposarsi, non si sentiva».

Tuttavia, come sostiene Francesco Verderami sul Corriere della Sera, proprio il modo in cui Conte ha ricostruito l'evento, il passaggio nel quale ha detto di aver «cercato di creare consenso attorno al nome di Draghi», è rivelatore di un'idea che, se non estemporanea, è quantomeno priva di solide basi.

E allora la risposta che ottenne, anche questa rivelata dal premier, va interpretata.

È vero, Super Mario spiegò a Conte che voleva prendersi un «momento di stacco», perché aveva appena rifiutato l'offerta di guidare il Fondo Monetario Internazionale, offerta che gli era stata fatta in modo condiviso dai Paesi più grandi della Terra. «Ecco il dettaglio che svela - sostiene Verderami - l'altra ragione per cui Draghi volle tagliar corto: avendo un'esperienza consolidata delle dinamiche di Bruxelles, desiderava evitare che il suo nome finisse nel tritacarne di una trattativa dall'esito pressoché scontato».

Perché certe nomine a livello europeo, compresa la presidenza della Commissione, hanno valenza politica e ruotano intorno all'asse franco-tedesco che nessuno può scalfire. E dunque «c'è una differenza considerevole tra l'offerta del Fmi avanzata in modo condiviso e l'idea di un premier dal peso non rilevante, lanciata senza essere stata concordata».

Inoltre, nella narrazione di Conte, ha colpito anche un altro dettaglio non secondario, ovvero l'insistenza con cui il premier ha voluto rimarcare la presunta «stanchezza fisica e psicologica» di Draghi, che dunque gli avrebbe comunicato di non sentirsi in forma per assumere un nuovo incarico così gravoso e carico di responsabilità come quello della presidenza della Commissione dell'Unione Europea. Se la dichiarazione del premier non fosse stata fatta nel bel mezzo di una conferenza stampa, conclude Verderami, «si potrebbe sospettare che questo velenoso passaggio fosse stato preparato nei minimi dettagli. E se la risposta serviva al premier per allontanare da sé il sospetto di temere Draghi, in realtà l'ha alimentato».

Come quel passaggio che sembra una difesa dell'ex governatore e che invece sconfina con la derisione: quando s'invoca il suo nome lo si tira per la giacchetta. La battuta è logora, per anni è stata utilizzata da chi nervosamente sentiva avvicinarsi il rumore dei nemici, riportando perfido la conclusione del premier: «Draghi non lo vedo come un rivale, ma come un'eccellenza». Strano, conclude Verderami, che allora Conte «non lo abbia inserito tra le centinaia di inviti al rutilante festival degli Stati generali di Villa Madama».

In conclusione, Mario Draghi rappresenta una vera risorsa per il Paese. Come dice Fontana, è «una delle poche personalità eccezionali che l'Italia ha a disposizione» che è in grado di influenzare con il suo pensiero le decisioni prese ai più alti livelli europei. E tale risorsa non andrebbe bruciata nelle beghe della nostra politica quotidiana.

BENIAMINO MORO

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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