N on è lo stesso calcio senza la gente. Senza il tappeto sonoro, di colori e di energia che il pubblico confeziona in occasione delle partite. Stiamo assistendo da un paio di mesi a uno spettacolo asettico, senz'anima se non quella che ci mette il tifoso da casa. Urletti, applausi solitari, il rumore del pallone e le urla di Conte (Antonio), anche quando l'Inter è lontana. E ci stiamo abituando, stritolati da un'epidemia che è sempre lì, nemico invisibile che detta leggi e regole, decidendo di cambiare l'esistenza di tutti. Anche di uno show come il calcio, dove è ormai chiaro che i protagonisti non sono solo i calciatori. Un'industria quasi derisa, in queste settimane, da tuttologi, politici e virologi, perfino dal premier Conte (Giuseppe) che non considera il calcio «una priorità», suggerendo - stimolato dal Comitato tecnico scientifico nazionale - di tenere chiuse le porte degli stadi fino a nuovo ordine.

Da una parte gli esperti e le sentenze, dall'altra un pianeta che sta cercando di riaccendere la luce - parliamo del Cagliari - con un protocollo su afflussi e deflussi del pubblico e precise norme sul distanziamento, ben chiare perfino sul biglietto cartaceo. Nelle prossime ore, la società renderà noto questo protocollo, sperando che la Regione intervenga, seppure da viale Trento attendano ancora una risposta dal Comitato tecnico sul tema spettatori. Aver visto ad Aritzo l'alba del tifo, con un centinaio di persone alla partita, faceva ben sperare, ma le parole di Conte (Giuseppe) hanno gelato tutti. Sabato c'è Cagliari-Roma, amichevole extra lusso: e se provassimo a riaccendere la luce?
© Riproduzione riservata