D a due giorni sulla riapertura della scuola si rischia la catastrofe, un ennesimo conflitto istituzionale tra autorità sanitarie e politiche, e - se mi permettete - si tocca anche il ridicolo.

L'ultima novità è la bozza di un documento dell'Istituto Superiore di Sanità secondo cui in ogni classe se si trovasse un nuovo contagio, andrebbero messi in quarantena “tutti coloro che hanno avuto contatti” con lo studente positivo. È inutile dire che quella che pare una disposizione tecnica è (di fatto) una norma ammazza-scuola. Immaginate cosa significa quarantenare e tracciare famiglie, studenti, professori e personale non docente.

Calcolando i docenti che lavorano in più sezioni, basterebbero dunque tre contagi per chiudere un intero istituto. Ecco dunque un altro drammatico conflitto di interessi, come quello che abbiamo già incontrato nel trasporto locale: o si deroga al distanziamento o si impedisce alla gente di viaggiare. O si trova un nuovo equilibrio sulla scuola, oppure è come dire che si chiude la scuola, fra l'altro dopo averla trasformata in una enorme camera di incubazione.

I fatti inaccettabili, per me, sono almeno tre: 1) questo documento, anticipato da “La Repubblica”, non è stato ancora depositato, ma neanche smentito. Non sappiamo se verrà modificato, ma già mette in subbuglio dieci milioni di persone; 2) la scuola condiziona la possibilità di lavoro di milioni di italiani, che in caso di quarantene di istituto non saprebbero dove collocare i propri figli.

T erzo punto: queste direttive si aggiungono a tutte le altre (alcune grottesche, persino in contrasto fra di loro) che si sono avvicendate in questi mesi. La scuola italiana è stata la prima a chiudere, l'unica a non riaprire in Europa, e da allora sul delicato tema del distanziamento in classe se ne sentono di tutti i colori.

All'inizio lo stesso Cts aveva chiarito che la scuola italiana era “fuorilegge” nel tempo del Covid, perché la differenza di un metro tra alunno e alunno doveva essere rispettata ad ogni costo. La conseguenza di questa norma era stata che il ministero dell'istruzione ha dovuto rottamare tre milioni di banchi biposto. E che subito dopo aveva dovuto chiedere al commissionario per l'emergenza Covid di bandire una gara entro il 14 settembre, giorno del presunto ritorno in classe: «la scuola riapre, garantisco io», ha detto Giuseppe Conte. «Questa data non è in discussione», ha aggiunto il ministro Lucia Azzolina.

A questo punto il Cts aveva approvato una prima mini-deroga alla sua originaria richiesta, inventando una nuova categoria di misura: la differenza tra metro statico e metro lineare. Di che si tratta? Mistero. Di fatto è un trucco burocratico per calcolare diversamente le misure di una classe: con i ragazzi già seduti nei banchi e non in movimento, ci spiegano i tecnici, possono entrare più alunni. Ma non era finita qui, perché anche questa trovata non bastava a far entrare tutti nelle classi. A fine luglio sono nate le cosiddette “rime buccali”. Un altro colpo di genio alla Azzeccagarbugli: una norma grazie a cui la distanza (sempre secondo il Comitato) non va più calcolata fra banco e banco, ma fra bocca e bocca. Così la soglia critica del distanziamento si abbassa. Tuttavia anche così, a inizio agosto, appariva chiaro che così la scuola sarebbe rimasta sbarrata. Il ministero realizzava un censimento da cui emergeva che alle scuole italiane servivano (anzi, servono) 2,5 milioni di banchi nuovi, anche facendo i calcoli della metratura delle aule con il metro statico, o le rime buccali.

E a questo punto entrava in campo “Mister Wolfe” che risolve i problemi, ovvero il sottosegretario Domenico Arcuri. A lui si è affidata la grana, comprare in un mese (tempistica folle) 2,5 milioni di nuovi banchi, di cui 500mila di quelli ormai famosi a rotelle. Arcuri assicura che riuscirà a realizzare un mezzo miracolo e convoca la gara. Ma poco dopo si scopre che anche i nuovi termini di questa gara europea non bastano: i banchi non arriveranno “prima di ottobre”.

Il presidente Mattarella deve intervenire per ribadire che il diritto allo studio va garantito. Un messaggio di principio, che però arriva a chi di dovere. E così si era giunti alla penultima capriola, quella con cui il Comitato tecnico scientifico aveva inventato la famosa deroga per i primi tre mesi a tutti i fantasiosi parametri che ho appena citato: una deroga a tempo, purché i ragazzi indossassero la mascherina. Ultima perla: a otto milioni di studenti andrebbe misurata la temperatura ogni giorno, ma a casa (immaginate in quanti modi) dalle famiglie.

Ma alla fine, se le direttive dell'Istituto superiore di sanità saranno varate, tutto questo sarà vano: i presidi potrebbero chiudere con la stessa velocità con cui lo hanno fatto i gestori delle discoteche. In una azienda seria, per un pasticcio di questo tipo si viene licenziati in tronco. A scuola si viene bocciati. Sarebbe curioso che in Italia continuassimo a dar retta ai registi di questo dispendioso caos.

LUCA TELESE
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