P overa italia. Ieri si è celebrato il festival delle scuse dalle gambe corte e dei seicento euro richiesti (e ottenuti) all'insaputa di se stessi: «Non volevo prendere quei soldi, ma la mia compagna si esercitava con la contabilità, e lo ha fatto lei per me», ha giurato affranto il consigliere piemontese Diego Sarno. Oppure: «In realtà io non volevo prendere davvero il bonus, ma denunciare una legge sbagliata, ho incassato quei soldi ma li ho regalati per beneficenza», ha detto addirittura spavaldo il consigliere fiorentino Ubaldo Bocci. Oppure: «Non volevo prendere il bonus, non capivo da dove veniva quell'accredito sul conto, è stato il mio commercialista a fare richiesta senza che io lo sapessi!», ci ha raccontato quasi scandalizzato il consigliere regionale veneto Riccardo Barbisan. Ma anche: «Il commercialista mi ha detto: facciamo la richiesta? Io non ho seguito la vicenda e gli ho detto fai, fai tu!», ha ricostruito, con aria quasi sorpresa per il clamore, il consigliere regionale piemontese Claudio Leone.

A sentirli accampare queste giustificazioni si sono arrabbiati (per primi) i commercialisti, e poi, a ruota, tutti gli altri. Potremmo continuare all'infinito: mentre il presidente dell'Inps Pasquale Tridico annuncia che venerdì alle 12.00 andrà alla Camera a relazionare (e quindi a rivelare) i nomi dei cinque parlamentari che hanno richiesto il bonus (e che fino ad oggi sono rimasti nell'ombra) c'è un maldestro e patetico coro di scuse.

U n coro di ricostruzioni fantastiche, di favole inverosimili che in queste ore si è sollevato intorno agli ormai leggendari “furbetti del Covid” e al sussidio chiesto allo Stato e all'Inps, nella speranza dell'anonimato, ma subito ripudiato, appena la vicenda è diventata nota e imbarazzate.

Ovvio che poi la gente si arrabbi, al punto che il tormentone più cliccato di Twitter ieri, era un hashtag che suonava così: #trovateunascusamigliore.

Sono almeno decenni che noi moralisti da strapazzo della carta stampata (loro ci chiamano così) proviamo a spiegare ad alcuni politici, che evidentemente non ci arrivano, una differenza cruciale: non tutto quello che è legale, è morale. Faccio un esempio: nessuno ti obbliga ad alzarti, in autobus se sale a bordo una donna incinta con un un altro bimbo in braccio. Non è scritto in nessuna legge, ma se non lo fai sei un verme.

Per il Covid-19 è accaduta la stessa cosa: fu spiegato chiaramente da Tridico - al momento del decreto, il 17 marzo - che per far arrivare prima i soldi, i controlli di compatibilità economica sui redditi sarebbero stati fatti dopo e non prima dell'erogazione. Lo chiedeva anche l'opposizione, con Giorgia Meloni: «Date i fondi con un click e verificate solo dopo aver pagato». Bastava il buonsenso - dunque - per spiegare questa scelta, di fronte alla catastrofe di tante partite Iva rimaste senza reddito.

Motivo per cui era legale chiedere quei soldi, ma era inopportuno e sbagliato, esattamente come in questi anni per tutte le grandi questioni di costume politico: ottenere finanziamenti da società proprietarie di concessione pubblica, farsi regalare orologi per i figli, accaparrare doni ottenuti in missione, pagare l'Imu agevolata per la palestra in casa, ottenere finanziamenti per comprare una casa “a propria insaputa” come nel caso luminoso e indimenticabile di Claudio Scajola: che -non tutti lo ricordano - dal punto di vista processuale è stato assolto per la nota vicenda della casa comprata a Roma, in zona Colosseo. Lui diceva felice: «Ho fatto un affare!», e i giudici hanno scritto nella sentenza che l'imprenditore Diego Anemone «aveva concordato con le sorelle Papa, proprietarie dell'immobile, le modalità dell'ulteriore pagamento fino a quota 1.7 milioni». Il motivo? Per i giudici

Balducci e Anemone, «volevano mettere Scajola in una situazione di sudditanza psicologica e di condizionamento, qualora la notizia fosse diventata di pubblico dominio».

Ovviamente tutti noi vorremo subire un raggiro di questo tipo: vorremmo, cioè, che qualche malintenzionato entrasse dal notaio mentre facciamo il rogito e ci pagasse la casa, per metterci “in condizione di sudditanza” anche a noi. Tuttavia, da allora, i piccoli orrori si celebrano sempre all'insaputa dei protagonisti. Ecco perché ho più stima di chi ha il fegato di dire: quei soldi mi facevano gola, mi servivano, ero al verde, legalmente ne avevo diritto: li ho presi. Meglio subire il danno, senza la beffa, cioè, soprattutto da parte di chi ci dovrebbe rappresentare.

LUCA TELESE

GIORNALISTA

E AUTORE TELEVISIVO
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