D opo la maratona del Consiglio europeo della scorsa settimana, dove l'Italia è riuscita a portare a casa 209 miliardi di euro tra prestiti e contributi a fondo perduto, un risultato che il premier Conte non ha esitato a definire “storico”, spetta ora all'intero governo il compito non meno impegnativo di definire il piano che entro metà ottobre dovrà essere inviato a Bruxelles, dove specificare gli interventi che si propongono e il crono programma che s'intende seguire per promuovere la ripresa economica del Paese.

Il premier sollecita l'intera maggioranza, e la stessa opposizione, ad «uno scatto di responsabilità», perché dal piano che verrà redatto dipenderà sia «il futuro del nostro Paese che quello della stessa Ue e del suo mercato unico». Al premier non sfugge che l'Italia ha «il dovere di spendere questi soldi con estrema responsabilità», approvando un piano di riforme che dovrà contenere progetti «definiti e dettagliati in ogni settore». Progetti che riguarderanno una vasta gamma di investimenti: dall'Alta Velocità, da estendere al Mezzogiorno, alle infrastrutture più importanti per lo sviluppo, sino ad arrivare ai progetti nel digitale, nell'economia verde e nel mondo della formazione, dell'Università e della scuola; senza peraltro trascurare le riforme strutturali di cui sempre si parla, a cominciare da quella della Pubblica amministrazione. Il piano, inoltre, come espressamente richiesto dalla stessa Commissione Ue, dovrà essere corredato da un crono programma.

U na tabella che indichi nel dettaglio i tempi di realizzazione degli interventi previsti e che costituisca non solo un segno di serietà degli impegni presi, ma anche un passaggio richiesto dalla stessa Commissione, che ha legato i finanziamenti allo stato di avanzamento e di implementazione delle riforme promesse. L'attuazione dell'intero progetto viene affidata a un organismo del tutto nuovo che si chiama Ciae, ritenuto il luogo istituzionale più adatto per coinvolgere tutte le amministrazioni dei diversi ministeri, ma sempre in raccordo con il Parlamento. Un altro punto fermo, infatti, è che il piano finale da inviare all'Ue coinvolga tutti e vi si riconosca l'intero Paese, comprese le opposizioni e le parti sociali. Il premier Conte è più che consapevole che abbiamo gli occhi puntati addosso, non solo dell'Unione e degli Stati membri, ma anche dei mercati finanziari, perciò è opportuno non commettere errori o passi falsi.

Tutto bene, dunque? L'accordo di Bruxelles e i relativi risvolti per l'Italia rappresentano la definitiva vittoria del campo europeista? Non proprio, sostiene Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, non solo perché le divisioni fra i Paesi del Nord e del Sud, dell'Est e dell'Ovest, non sono superate, ma soprattutto per lo squilibrio che c'è tra «i nazionalisti antieuropei che parlano al cuore delle persone e mobilitano sentimenti e emozioni, mentre gli europeisti, che sono in grado di appellarsi solo al buon senso, non sanno suscitare emozioni». Perciò, l'Ue «può solo fare ciò che è stata addestrata a fare: cercare compromessi che, di volta in volta, salvino capra e cavoli, che impediscano il ristagno o il regresso dell'economia europea. I nazionalisti antieuropei possono giocare invece sulle emozioni, perché fanno leva su depositi di memorie e sentimenti che appartengono alle varie comunità nazionali (gli italiani spreconi, i tedeschi prepotenti e incombenti, i francesi arroganti, ecc.)». È però vero, conclude Panebianco, che in gioco c'è la difesa della civiltà democratica, e delle sue istituzioni: la loro sopravvivenza verrebbe compromessa se al benessere seguisse il malessere, alla ricchezza la penuria.

Accontentiamoci perciò che, al dunque, a prevalere sia una mediazione che, se proprio non soddisfa tutti, almeno non scontenti palesemente nessuno.

BENIAMINO MORO
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