L eggo l'intervista di Federico Fubini a David Sassoli, sul Corriere della Sera, e al di là degli slogan di rito («In Europa c'è grande fiducia verso l'Italia», quando nello stesso momento l'olandese Wilders sbandiera in strada il manifesto “Neanche un centesimo all'Italia”), il passaggio più schietto e interessante è l'ammissione che, riguardo a quel che può succedere in autunno nel nostro Paese, «non c'è preoccupazione, c'è terrore. La preoccupazione non darebbe l'idea delle conseguenze che questi dati (della caduta del Pil) potrebbero provocare sul piano sociale».

Siamo pratici: il crollo del Pil forse oltre il temuto 11,2% e l'innalzarsi del debito a livelli percentuali superiori al 160% del Pil, sono eventi ben previsti da chi si occupa di macroeconomia senza paraventi ideologici o di parte. Sono dati chiari anche a chi guida il nostro calesse, ma esplicitare due banali conti non è consentito a chi è intento a fare una narrazione strumentale del percorso verso il baratro in cui stiamo bellamente precipitando, e che oggi si trova a vivere appunto nel “terrore”. Di che cosa, il terrore? Non del baratro stesso, cioè della miseria sempre più diffusa della popolazione (basterebbe già oggi guardare ai numeri Istat sulla povertà in Italia, senza voler aspettare l'autunno), situazione che ovviamente non tocca i loro privilegi, quanto dei movimenti di piazza, delle manifestazioni di protesta, dei disordini sociali.

Ecco, i postiglioni sono terrorizzati da questo.

L a discesa in strada di una popolazione delusa e arrabbiata sconfesserebbe un'intera politica di anni e infine gli ultimi mesi di vantati trionfi, di un brillante modello-Italia, di un Paese che non si arrende, di stringiamoci a coorte, della nostra torpida acquiescenza scambiata per “resilienza”, il sostantivo di gran moda. Tutto sarebbe portato a nudo: l'impreparazione, l'insipienza, i risultati catastrofici, la mancanza di reazione di una classe politica inadeguata. Ma soprattutto la piazza chiederebbe decisioni rapide, azioni, soluzioni immediate, e questo, si comprende, è un altro motivo di terrore per chi è abituato a confondere l'amministrazione del bene pubblico con i giochi di potere, i programmi con la spartizione delle poltrone, la sostanza con gli annunci tipo “potenza di fuoco”.

Restiamo però pratici e non abbandoniamoci a romanticherie rivoluzionarie: il prolungamento dello stato di emergenza sino al 31 dicembre è già una mossa di “democratura”, come chiamata da Mattia Feltri, un arbitrio ben studiato per difendersi proprio dai disordini sociali - il Covid non c'entra niente. Il governo e il premier avranno la possibilità di «insistere con i dpcm, i decreti del presidente del Consiglio, quel simpatico modo di legiferare per cui Conte dispone e impone, col disturbo di doversi accordare con se stesso, più o meno, e senza nemmeno fare un fischio agli eletti… L'assuefazione inibisce lo scandalo. Non ci importa. Ma il modo in cui trattiamo gli eletti, cioè i rappresentanti della volontà popolare, e la giustizia, cioè quello che dovrebbe essere l'insormontabile muro della nostra libertà personale, e dunque le due grandi roccaforti della democrazia liberale occidentale, dimostrano che la democrazia italiana ha già molto della democratura, la forma di governo teorizzata da Viktor Orbán: la democrazia illiberale».

Ci si sta preparando dunque all'autunno, a scongiurare il terrore delle proteste (non il terrore della miseria e della mancanza di speranza), con un impianto che della democrazia parlamentare avrà solo il richiamo verbale, mentre la sostanza tenderà ogni giorno di più alla prassi politica stile Chávez o Maduro, oppure, senza andare troppo lontani, al percorso di cancellazione democratica compiuto in Grecia da Alexis Tsipras, incurante di un referendum popolare e artefice della repressione violenta dei moti di piazza e dello spolpamento sistematico del suo popolo sino alla privazione delle cure mediche ai bambini - come peraltro ammesso dallo stesso Fubini.

Il titolo della prossima stagione, stiamoci attenti, si chiamerà Sottomissione: non all'Islam come nel famoso romanzo di Michel Houellebecq, ma ai diktat dell'Europa, fatti propri da una classe politica attaccata al potere, costi quel che costi, e sostenuta da chi non riesce o non vuole mettere in discussione le proprie convinzioni.

CIRIACO OFFEDDU

MANAGER E SCRITTORE
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