I l premier Giuseppe Conte ha inaugurato la sua piccola Versailles a Villa Pamphili, gli Stati generali. Durerà fino alla fine della prossima settimana, un paradosso per un Paese che ha bisogno di interventi urgenti e velocità di esecuzione. Conte gioca la sua partita politica, sta costruendo abilmente la sua base elettorale, il piano ha tre esiti possibili: la costruzione di un nuovo partito, l'ascesa di Conte alla leadership dei Cinque Stelle, la caduta del premier per effetto della crisi economica.

Una lista Conte allarma il Partito democratico, i sondaggi la danno tra il 12 e il 15%, ma soprattutto cannibalizza l'elettorato del Pd e dei Cinque Stelle. Conte ha negato di lavorare a un suo partito, ma un giallista arriverebbe facile a quella conclusione: le impronte digitali, gli indizi e il movente sono presenti sulla scena del delitto politico. E gli Stati generali sono funzionali a questa scalata personale.

I lavori di Villa Pamphili si sono aperti con un festival dell'ovvio: l'Italia ha bisogno di riforme, ha un enorme debito pubblico, bisogna sburocratizzare, la lotta all'evasione è una priorità, servono investimenti e un clima favorevole alle imprese.

F in qui non c'è notizia. Siamo di fronte a fatti arcinoti, possiamo prendere i discorsi programmatici di tutti i presidenti del Consiglio degli ultimi trent'anni, le considerazioni finali di tutti i governatori di Bankitalia, i discorsi di inizio mandato e di fine anno di tutti i presidenti della Repubblica e sovrapporli alle cose che abbiamo sentito. Tuttavia, in una giornata che non passerà alla storia, quattro punti sono rimasti sul taccuino del vostro cronista.

1) Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha riportato tutti alla realtà sottolineando che la discussione in corso può essere utile, ma non bisogna cercare «effimeri interessi di parte» e «deve saper approdare a risultati concreti». Le cose vanno messe a terra. Realismo e tempismo perfetti del Quirinale.

2) Il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, ha puntualizzato che «i fondi europei non potranno mai essere gratuiti: un debito dell'Unione europea è un debito di tutti i paesi membri e l'Italia contribuirà sempre in misura importante al finanziamento delle iniziative comunitarie, perché è la terza economia dell'Unione». Sembrano cose ovvie, ma con questa classe politica anche l'ovvio diventa eccezionale. Le parole di Visco sono un preludio del dibattito europeo sul Recovery fund, tutt'altro che chiuso, con molte botole aperte nelle quali l'Italia può cascare.

3) Il premier Conte alla fine dei lavori ha fatto un passo inatteso che certifica le difficoltà del negoziato in Europa: «Se riuscirò a portare a casa il Recovery fund che prevede ingenti risorse, sarà una vittoria ma per questo rivolgo ai partiti di opposizione un appello: c'è ancora da lavorare su questo progetto, diano una mano con i Paesi di Visegrad nell'interesse nazionale». Conte chiede a Matteo Salvini e Giorgia Meloni un aiuto diplomatico presso i paesi sovranisti, bisogna ammorbidire le posizioni di Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia che invocano un riequilibrio dei fondi oggi “sbilanciati a Sud”, cioè verso l'Italia che è il principale beneficiario con oltre 170 miliardi di euro. Il fronte degli scettici inoltre comprende anche Austria e Olanda. E occhio alla Germania oggi e sopratutto domani, la Corte costituzionale tedesca ha già avvisato la Bce e ha detto alla Bundesbank che prima viene la legge di Berlino e poi quella europea. Achtung. La realtà non è un pranzo di gala, non è in guanti bianchi e non è mai gratis. Se sul menù c'è scritto gratis, allora vuol dire che il pasto sei tu.

4) Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, ha ribadito che la Bce farà il suo dovere - lo sta già facendo - ma senza le riforme sarà uno sforzo vano. Per Lagarde la sola «politica monetaria non può risolvere le domande più profonde su come sarà l'economia in futuro». Traduzione: i problemi dell'Italia non si risolvono a Francoforte ma a Roma.

Per chi suona la campana? Il gong è per il governo, il Parlamento, la classe dirigente dell'Italia. Finora tutti hanno brillato per la spesa, ma sono completamente assenti nella riqualificazione e nei tagli di ciò che è improduttivo. Ricordiamo che la spesa pubblica in Italia è pari a circa 800 miliardi di euro e continua a crescere, il nostro debito pubblico a fine 2020 sarà tra i 2550 e 2580 miliardi, le prospettive sull'occupazione fanno tremare i polsi, secondo le stime dell'Istat sono a rischio due milioni di posti di lavoro. Non c'è la piccola Versailles di Conte, non c'è la musica dolce in sottofondo, è la cavalcata delle Valchirie.

MARIO SECHI

DIRETTORE DELL'AGI

E FONDATORE DI LIST
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