I n questo nostro benedetto Paese «nulla finisce mai in tempi certi, tranne le partite di calcio». L'aforisma di Indro Montanelli ci porta dritti al lievito delle accise sul prezzo dei carburanti e ai giuramenti dei ministri, ultimo Matteo Salvini: mezz'ora di tempo e molti di quei balzelli spariranno. Balle, dalla guerra in Etiopia (1935 nientemeno) continuiamo a portarci dietro 17 tasse sulla benzina aggiungendo così danni finanziari personali ai disastri nazionali: terremoti, alluvioni, Vajont, guerra in Libano. Parole e musica: “Ti saluto e vado in Abissinia, cara Virginia”. Ma oltre il provvisorio sempre più fisso che fa fessi gli italiani, esiste anche l'instabile che dopo un'eternità passa in pianta stabile. I nostri parlamentari hanno impiegato 71 anni per registrare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica il “Canto degli Italiani” o Fratelli d'Italia. Assenti al voto i leghisti-padani che Roberto Calderoli così giustificò: impegni nostri. Polenta e osei e “Va pensiero”, allegri e senza pensieri. E mentre la sinistra dotta e patriota apriva il dibattito cult sulla differenza tra Enrico Toti e Francesco Totti, la solennità dell'Inno si perdeva nel “poporopopo poporopopo” della marcetta, che i soliti imbucati storpiavano con la “h” infilata nel mezzo, mai a caso e neppure per sbaglio.

ANTONIO MASALA
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