A Boccaccio, nel Decameron, bastarono sette donne e tre uomini, e la civiltà poteva ripartire. Era la fase due durante la peste del 1348, l'ordine dopo la confusione, la rinascita dopo la caduta. Si era ancora nel Medioevo, epoca buia per tanti, al tempo dei Comuni; un mondo illuminato, viceversa, dal genio di chi pensava a un nuovo risorgimento dopo la barbarie. Oggi, per la ripartenza, ci si affida a Colao e alla sua squadra, da dove le donne sono per lo più escluse.

Che la pandemia abbia portato a suppurazione numerosi bubboni è evidente. Gli eventi di questi giorni convulsi si snodano davanti agli occhi, fotografano un Paese dove ciò che prima era tollerato ora c'interroga con drammatica evidenza. Il tappeto è ormai troppo corto per nascondere la polvere di gestioni politiche poco accorte, ed è finito il tempo in cui le parole venivano taciute, nella paura che, evocandole, le cose potessero sommergerci con la loro gravità.

Ma i problemi irrisolti s'impongono e riguardano il sistema sanitario, esploso in mille contraddizioni, il rapporto conflittuale fra Stato e Regioni, la mai sopita questione meridionale, i tempi biblici della burocrazia, il lavoro nero e l'evasione fiscale.

E vasione a proposito della quale Angela Merkel ricorda che non si può esigere un colossale aiuto dall'Europa e tollerare un'evasione di almeno 110 miliardi l'anno.

Quale sarà il costo non si sa e non basta il ricorso all'Historia magistra vitae. Non ci sono sufficienti appigli per anticipare le cifre della calamità. Nel 1918 e 1919 la Spagnola aveva causato circa 18 milioni di morti, letale quasi quanto la guerra con i suoi 20 milioni di caduti in quattro anni, e su cui, tuttavia, esistono pochissimi studi economici come rivela Romaric Godin, giornalista esperto in macroeconomia.

Per Godin: «Nei paesi al centro del conflitto, Francia, Belgio, Italia, Germania, dove i disastri della guerra avevano già provocato una grave crisi economica, gli effetti dell'epidemia potevano in effetti passare quasi inosservati». Solo lo studio dei ricercatori Karlsson, Nilsson e Pichler, risalente al 2013, che riguarda una Svezia fuori dal primo conflitto mondiale, ma colpita dalla malattia, rivela che i redditi furono gravemente penalizzati.

È certo invece che sul lungo termine la peste nera del 1348-1349 - come quella del 1720 - ha avuto un impatto economico molto negativo. Ma l'organizzazione dell'economia feudale dell'epoca era molto diversa da quella capitalista di oggi. Quel che si tace è che la peste riapparve nei luoghi già colpiti, a cicli e con cadenza decennale. Secondo lo storico Antonio Ivan Pini «il ripresentarsi della calamità compromise in modo definitivo il recupero demografico e occorsero interi decenni, e spesso due o tre secoli, perché le città recuperassero gli abitanti che avevano prima della peste nera». Le successive rivendicazioni dei ceti umili investirono nobiltà e borghesia fino a sfociare nella Jacquerie in Francia, nel moto dei Lollardi in Inghilterra e nel tumulto dei Ciompi a Firenze.

Se è difficile fare previsioni economiche di lunga gittata, oggi, nel tempo della ripresa, occorre risolvere alcuni problemi urgenti, e uno dei problemi più gravi, perché trasversale, è costituito dalla burocrazia. Giorni fa sul Corriere della Sera Sabino Cassese non aveva dubbi: «la ripresa ci sarà se ci liberiamo della burocrazia». Il mostro ha più teste, ma è vero che i poteri degli uffici sono attribuiti dalle leggi. Le procedure andrebbero sfoltite, così come sarebbe necessario dotarsi di corsie d'emergenza. Concetto ribadito da Federico Fubini, a proposito del Recovery Plan, che non potrà funzionare se l'amministrazione rimarrà bloccata, anche per i controlli.

Rosaria Amato di Repubblica sottolinea ad esempio che non si conosce il numero dei richiedenti la Cassa integrazione in deroga. Per loro un iter complicatissimo con il passaggio tra le regioni e l'Inps, e ogni regione con norme disuguali. Regioni il cui procedere in ordine sparso, su questioni diverse, ha generato grande sconcerto, con l'ombra dello Stato centrale sempre più sbiadita.

ANGELA GUISO

CRITICA LETTERARIA
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